POLITICA E POTERE
L'invettiva di Franco Ambrosetti contro il PVP: "Ha ammazzato il centro di Lugano. Scandaloso l'immobilismo dei responsabili: se ne fottono delle lamentele dei cittadini"
Durissimo intervento dell'ex presidente della Camera di Commercio: "La perla del Ceresio è ormai scaduta a livello di un paesello della Val Pippa"

LUGANO - Un attacco feroce, durissimo. Una vera e propria invettiva contro il Piano viario del Luganese, chi lo ha progettato all’epoca e chi, oggi, non ne risolve le storture. Nel mirino, insomma, c’è il Palazzo, ovvero l’autorità politica, il Municipio di Lugano. A firmare le bordate è Franco Ambrosetti in un lungo articolo apparso oggi sul Corriere del Ticino.

L’ex presidente della Camera di Commercio martella già dalle prime righe “contro la follia del piano viario del polo luganese, partorito e imposto agli automobilisti da menti eccelse ispiratesi al mito greco del supplizio di Sisifo. Pensare di indurre il cittadino a rinunciare all’auto a fronte di un servizio pubblico non in grado di coprire tutto il territorio come per chi abita a Montagnola o a Manno e lavora a Grancia, è penoso. L’idea che il troppo traffico si combatta levando spazio all’auto ovvero togliendo posteggi e chiudendo strade è una colossale panzana”.

“Infatti - attacca Ambrosetti - i risultati sono pessimi. Il traffico non è diminuito affatto. Sono invece aumentati i tempi di pecorrenza e i relativi costi in termini di tempo buttato via stando seduti nell’auto incolonnata. È aumentato lo stress che ne consgue e pure il consumo di carburante. Se errare humanum est, perseverare diabolicum. Capisco, pur non condividendolo il tentativo di cercare soluzioni ricorrendo a politiche penalizzanti del traffico. Ma trovo scandaloso l’immobilismo dei responsabili che nulla fanno di fronte al fallimento dell’opera, dopo aver vessato i cittadini per anni nonostante una miriade di denunce da parte di utenti, commercianti, professionisti, ristoratori, organizzazioni professionali come i tassisti”.

“L’arroganza del potere - picchia duro l’imprenditore - evidentemente permette di fottersene bellamente delle lamentele del cittadino. I bramini del palazzo, si sa, sono intoccabili, il posto di lavoro è garantito e non pagano mai di persona gli errori che commettono. Ma l’autorità preposta alla loro controllo si rende conto che nel terzo millennio le battaglie contro il progresso tipo distruggere i macchinari come durante la rivoluzione industriale, siano morte e sepolte? Il progresso non si ferma. Mai. Tutt’al più si rallenta. L’automobile, piaccia o no, è una realtà ineluttabile della modernità perché garantisce al cittadino di una democrazia liberale un diritto individuale fondamentale, la mobilità. Chi insiste nell’idea che l’auto possa sparire o pensa di essere la reincarnazione di Don Chisciotte o non pensa affatto”.

“Cosa fanno le autorità preposte alla guida della città per combattere l’ inquinamento ad opera delle file interminabili, per frenare il lento ma inesorabile tramonto dei negozi storici, per abolire una buona volta la cavolata del millennio? Cosa vuol fare per far rivivere il centro città che questo piano viario ha ammazzato trasformando alcune zone, come la Posta, in un deserto?”, si chiede retoricamente Ambrosetti. E così risponde: “Le misure proposte dai dodici consiglieri comunali sono un buon inizio. Ma ovviamente servono un profondo cambio di rotta culturale e una seria valutazione della situazione viaria con i cambiamenti inevitabili derivanti da uno studio di ampio respiro”.

Quindi, l’affondo finale: “A nulla è servita la crociata moralista contro il traffico privato che lungi dal l’essersi ridotto si è spostato altrove creando più caos e più disfunzioni. Ma ancor peggio è l’effetto nefasto del piano viario su parte del centro storico ridotto a uno squallido quartiere con negozi vuoti o chiusi e un’atmosfera da coprifuoco. Certo, a consolarci non bastano gli arredamenti cittadini. Una città che si reputa la perla del Ceresio è ormai scaduta a livello di un paesello della val Pippa con la creazione di improbabili orti, di piante da frutta e panchine in stile francescano-penitente. Non ce la fanno ad adornare la tristezza infinita di luoghi un tempo vividi e amati”.

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