POLITICA E POTERE
Direttiva UE sulle armi, Merlini: "L'uscita da Schengen è una conseguenza sicura". Quadri: "Minaccia ridicola. Nessuno a Bruxelles ha interesse ad 'epurarci'"
Confronto tra le opinioni del Consigliere Nazionale PLR e il collega leghista. Il primo: "L'uscita dallo spazio Schengen ci procurerebbe guai seri". La risposta: "Prima del 2008 il paese non viveva solo di pastorizia come vorrebbero farci credere"

BERNA – Il 19 maggio prossimo i cittadini svizzeri dovranno esprimersi sulla modifica della Direttiva UE sulle armi. E, come per ogni votazione, anche su questo fronte non sono mancate battaglie politiche, pareri discordanti e botta e risposta tra politici.

Il Consigliere Nazionale PLR Giovanni Merlini cita il monito di Benjamin Franklin per esprimere la propria opinione sul tema. “Chi rinuncia alla libertà a favore della sicurezza non merita né l’una né l’altra. Ma come la mettiamo quando una modesta restrizione della libertà consente di salvaguardare meglio non solo la sicurezza pubblica collettiva, bensì pure altri valore come la vita, l’integrità fisica, l’ordine pubblico, la proprietà, ecc..?”.

“In questi casi – continua Merlini nella sua presa di posizione – anche un convinto liberale non può sottrarsi a un’attenta ponderazione degli interessi in gioco. Non è sempre così facile come potrebbe sembrare. Quando si è trattato di decidere a Berna su un certo numero di misure che inaspriscono lievemente l’attuale regime sulle armi, mi sono trovato confrontato con un analogo dilemma, come per altro tutte le colleghe e i colleghi parlamentari. Da una parte la tradizione elvetica del tiro, lo storico connubio tra libertà locali e armi pronte a difenderle (che devasta già l’ammirazione del Segretario fiorentino per gli “Squizzeri armatissimi e liberissimi), il fascino del cittadino-soldato garante del nostro assetto repubblicano e democratico e l’attaccamento a un sano rapporto di fiducia tra stato e cittadini”.

“Dall’altra – prosegue – un contesto nazionale e internazionale profondamente trasformato dai flussi migratori, la minaccia sempre più ossessiva di attacchi terroristici di cui non possiamo dirci al riparo neppure in Svizzera, le ramificazioni preoccupanti del crimine organizzato anche nel nostro territorio e la necessità di rimanere agganciati a Schengen – già solo per continuare a beneficiare della fenomenale banca dati del SIS che consente la cooperazione e il coordinamento tra le autorità giudiziarie e di polizia dei Paesi associati – e poi ancora i vantaggi evidenti dell’Accordo di Dublino per la gestione delle domande di asilo”.

Come ufficiale dell’esercito, Merlini ha “esaminato con la lente le varie misure del progetto di legge, mitigato dalla Commissione preparatoria. Per poi optare in loro favore, in scienza e coscienza. Nessuno sarà privato delle sue armi e le nuove regole per i collezionisti, i musei, i commercianti e i tiratori appaiono del tutto ragionevoli, senza troppe complicazioni amministrative. Per i cacciatori non cambierà nulla. Non so quanti drammi potranno essere scongiurati grazie alla nuova legge: fosse anche uno solo, sarebbe uno di meno”.

“So – continua – però almeno due cose: la prima è che non vi è stato alcun “diktat” di Bruxelles, tant’è che la Svizzera – quale Stato associati a Schengen – ha partecipato ai lavori di modifica della Direttiva europea, riuscendo ad evitare norme più incisive che avrebbero reso solo un ricordo la nostra inveterata e pacifica consuetudine del tiro. La seconda è che l’esclusione da Schengen, se la revisione fosse bocciata, non è affatto uno scenario incerto. È una conseguenza sicura. Perché per impedirla occorre l’unanimità di tutti gli Stati membri, che è impossibile ottenere visto il recente ricorso della Cechia contro le deroghe concesse alla Svizzera dalla Direttiva europea per i fucili d’assalto, e vista anche la poca solidarietà dimostrataci da Stati ben più influenti in occasione del riconoscimento limitato dell’equivalenza borsistica”.

“E – conclude il Consigliere Nazionale PLR – un’esclusione dal sistema di Schengen ci procurerebbe guai seri in tema di sicurezza, al cospetto dei quali le misure contestate dai referendisti rappresentano un ben piccolo sacrificio, che oltretutto non intacca il carattere liberale della nostra legge sulle armi. Se ne ricordino gli indecisi che non hanno ancora votato. Anche perché di tutto abbiamo bisogno, fuorché di un ulteriore contenzioso con l’UE”.

Di ben altro avviso è il Consigliere Nazionale leghista Lorenzo Quadri, che sostiene che “tentare di sdoganare la tesi farlocca che “accettando la direttiva disarmista per noi non cambierebbe niente” vuol dire prendere la gente per fessa”.

“Non solo con un sì la maggioranza della popolazione verrebbe privata del diritto di possedere armi normalmente in commercio, ma un sì equivarrebbe ad una rottamazione delle nostre leggi, delle nostre tradizioni, delle nostre libertà e della nostra volontà popolare. E tutto questo per cosa? Per, ancora una volta, sottomettersi agli ordini di Bruxelles”.

Quadri sostiene che “è’ allarmante che rappresentanti ticinesi alle Camere federali non capiscano, o fingano di non capire, che la posta in gioco non è il numero di colpi che può contenere un caricatore, bensì l’indipendenza della Svizzera ed i nostri diritti popolari, che adesso il triciclo PLR-PPD-PSS pretende di mettere fuori gioco ogni volta che a Bruxelles qualcuno solleva un sopracciglio. E’ poi non solo evidente, ma apertamente dichiarato, che la direttiva disarmista sul cui recepimento voteremo il 19 maggio è solo il primo passo. Ogni 5 anni ci saranno inasprimenti. Con l’obiettivo di arrivare al disarmo totale del cittadini onesti, che la totalitaria UE considera nemici. Una concezione dei rapporti tra cittadino e Stato che è diametralmente opposta, e dunque inconciliabile, a quella vigente in Svizzera, basata sulla fiducia reciproca. E le maggioranze politiche vogliono ora gettare alle ortiche anche questo valore svizzero per compiacere i loro padroni di Bruxelles. La svendita del Paese continua”.

“E’ – continua Quadri – infatti manifesto che l’attuale diritto svizzero delle armi non rappresenta alcun problema. A nessuno – ad eccezione dei compagni rossoverdi – verrebbe in mente di stravolgerlo se non ci fosse una pretesa europea in questo senso. Nel febbraio 2011 i cittadini respinsero un’iniziativa di sinistra che proponeva limitazioni meno incisive di quelle attualmente sul tavolo. I partiti del cosiddetto centro si opposero a tale iniziativa. Ma oggi, tra i manutengoli del Diktat disarmista di Bruxelles, troviamo gli stessi parlamentari federali che 8 anni fa erano in prima fila nel comitato per la tutela dello statu quo. Come si spiega questa indecorosa giravolta? Semplice: perché adesso è l’UE a pretendere; e allora, secondo certi partiti e certi politici, “bisogna genuflettersi”! Ma a che livelli siamo scesi”.

Il Consigliere nazionale leghista giudica “ridicola” la “minaccia dell’espulsione della Svizzera da Schengen/Dublino. La permanenza del nostro Paese nello spazio Schengen non è una questione giuridica, bensì politica. Nessuno a Bruxelles ha interesse ad “epurarci”. Ne conseguirebbe infatti la rinuncia ai contributi elvetici, che ammontano a svariate decine di milioni di Fr annui, e alle informazioni che la Svizzera fornisce al sistema. A parte questo, l’importanza della banca dati Schengen è ampiamente (e strumentalmente) sopravvalutata”.

“Va pure ricordato che la Svizzera aderisce a Schengen dal 2008; prima del 2008, il paese non viveva solo di pastorizia, come vorrebbero ora farci credere alcuni ambienti economici che per un franco svenderebbero la nonna, per cui figuriamoci la nazione. Nel 2008 c’erano più turisti di oggi, e non si formavano code chilometriche in dogana “causa visti”. Senza dimenticare che sono proprio gli accordi di Schengen a prescrivere le frontiere spalancate, con risultati deleteri per la sicurezza delle zone di confine (vedi l’epidemia di esplosioni ai bancomat)”

“Quando all’accordo di Dublino – conclude il leghista – quello che permette i famosi rinvii degli asilanti: esso è effettivamente minacciato, ma non certo da un eventuale rifiuto dei cittadini elvetici di farsi disarmare dai burocrati di Bruxelles, bensì dalle istanze europee a sostegno dell’immigrazione clandestina, che adesso viene ipocritamente definita “globale”. Le minacce all’accordo di Dublino vengono dall’UE e dal patto ONU sulla migrazione. Patto sostenuto proprio dalle stesse forze politiche che adesso si sciacquano la bocca con la fanfaluca di “Schengen/Dublino a rischio” nel goffo tentativo di giustificare l’ennesima capitolazione. Insomma, un coacervo di contraddizioni. Votiamo un NO convinto alla direttiva UE sulle armi. Schengen non è in pericolo. La nostra indipedenza sì!”.

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