POLITICA E POTERE
Caos al Tribunale, il Consiglio della Magistratura 'indaga' Quadri e Verda. E il rapporto Galliani sul mobbing dov'è?
Il procedimento intende valutare se i due giudici sono passibili di sanzione per aver segnalato al Ministero pubblico un potenziale reato di pornografia da parte del presidente Ermani
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Di Marco Bazzi

Il Consiglio della magistratura ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti dei giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti. Lo ha confermato a liberatv lo stesso Quadri, che ha ricevuto questa mattina la notizia per raccomandata. Notizia che circolava già ieri negli ambienti giudiziari. Ma i diretti interessati non ne erano ancora al corrente in quanto il legale che li rappresenta, Marco Broggini, è in vacanza, e ieri non ha potuto ritirare la lettera del Consiglio della magistratura. 

Ma andiamo al punto. Il procedimento disciplinare intende valutare se i due giudici sono passibili di sanzione per aver segnalato al Ministero pubblico un potenziale reato da parte del presidente del Tribunale Mauro Ermani.

Quadri e Verda, oltre a denunciare una diffamazione nei loro confronti da parte dei colleghi Ermani, Marco Villa e Amos Pagnamenta, avevano infatti segnalato anche l’ipotesi della pornografia in merito alla ormai famosa foto inviata da Ermani nel febbraio dell’anno scorso alla segretaria amministrativa del tribunale che si ritiene vittima di mobbing (LEGGI QUI).

Il procuratore generale Andrea Pagani ha trasmesso quella segnalazione al procuratore straordinario Franco Passini, incaricato di dirimere la vertenza penale tra i giudici, il quale nei giorni scorsi ha decretato un non luogo a procedere per questo reato (LEGGI QUI). Reato che per i due giudici e per il loro avvocato poteva invece profilarsi, in base all’articolo del Codice penale che punisce la condivisione di contenuti sessuali non pubblici con persone che non ne hanno fatto richiesta.

Secondo Passini, come detto, il meme che riproduce una foto esposta al Museo del sesso di Amsterdam e che mostra una donna seduta al centro di due grandi falli di plastica in erezione con la scritta ‘Ufficio penale’ non configura tale reato. 

In base alla decisione del procuratore straordinario, il Consiglio della magistratura ha dunque avviato una procedura disciplinare per verificare se la segnalazione di Quadri e Verda profila un eventuale reato. Se è temeraria, per dirla in altre parole. Ora i due magistrati dovranno fare le loro osservazioni spiegando le ragioni del loro agire.

Va comunque sottolineato che un paio di mesi fa anche l’avvocato Andrea Bersani, legale della segretaria che si ritiene vittima di mobbing, avrebbe inviato quella foto al Consiglio della magistratura. Il 20 agosto il presidente del Consiglio stesso, Damiano Stefani, ha affermato alla RSI di averne preso visione ufficialmente solo quel giorno, il 20 agosto, appunto. E a proposito della foto che ha scatenato una bufera politica sul giudice Ermani, con richieste di eufemistici “passi indietro” da parte sua – leggi dimissioni -, Stefani ha detto: “I principi sono sempre quelli che valgono in qualsiasi ambito lavorativo. Ci sono delle regole, adesso dobbiamo vedere se qui sono state infrante o meno, ma evidentemente se dovessero esserci delle mancanze, le accerteremo”.

Non sappiamo quali altri provvedimenti abbia adottato sul caso il Consiglio della Magistratura. Pian piano, a spizzichi e bocconi, i dettagli filtreranno dal velo di riserbo che circonda le segrete stanze.

E a proposito di segrete stanze…

Tutto questo caotico bailamme di querele, procedimenti, indiscrezioni, narrazioni di segno opposto, segnalazioni e controsegnalazioni, rischia di far perdere di vista l’unico vero tema centrale della vicenda: quel vulnus irrisolto che scuote il Tribunale penale insinuando il dubbio – e in questo caso si dovrebbe adottare il principio giuridico ‘in dubio pro duriore’ - che nella Torre di comando della Giustizia – per usare una metafora da Pokémon di Nona generazione - siano avvenuti atti e fatti di bieca ingiustizia che hanno avvelenato negli anni clima e relazioni.

Per dirla con le parole del deputato Matteo Quadranti, autore dell’atto parlamentare che ha acceso i riflettori sul caso,  “situazioni di mobbing di lunga durata (tra segretarie, tra segretarie e giudici, tra segretarie e giudici e/o cancellieri e viceversa), se non molestie sessuali, quantomeno apprezzamenti inopportuni, commistioni, vendette, ricattini e raccomandazioni sul ‘chi deve stare dalla parte di chi’, protezionismi, faziosità e via dicendo”.

Sarebbe un segnale di gracilità e di inaccettabile astenia morale da parte delle Istituzioni, tentare di nascondere la polvere sotto il tappeto, riducendo il caso a un’isterica bega tra giudici. Sarebbe… e usiamo il condizionale in quanto siamo assolutamente convinti che nessuno intenda nascondere sotto il tappeto alcun benché minuscolo batuffolo di polvere.

Tornando a bomba, il tema centrale è il mobbing che una segretaria amministrativa del Tribunale penale sostiene di subire da anni da parte di una sua collega, senza che nessuno tra i giudici abbia seriamente considerato o ascoltato le sue richieste di aiuto. Almeno fino a che Quadri e Verda Chiocchetti hanno deciso, sul finire dello scorso anno, di segnalare il caso alla Commissione amministrativa del Tribunale d’appello, responsabile della gestione del personale. In parallelo, come sappiamo, la stessa vittima tramite il suo legale ha segnalato il caso all’autorità cantonale. E alla fine, nei mesi scorsi il Governo ha incaricato l’ex procuratrice pubblica Maria Galliani di far luce sul presunto mobbing.

Orbene, Galliani ha consegnato il suo rapporto a fine agosto. Non al Governo a quanto pare, non alle parti, ma all’attuale presidente della Commissione amministrativa Giovan Maria Tatarletti, che è anche presidente del Tribunale d’appello.

E ad oggi, del contenuto e delle conclusioni del rapporto di Maria Galliani nessuno sa nulla. A parte Tatarletti.

Trattandosi di un caso molto serio che coinvolge la Camera penale del Tribunale cantonale, la celerità non dovrebbe essere solo un principio giuridico ma un imperativo. Eppure, a 4 mesi dalla nomina di Galliani e a 10 mesi dalla prima segnalazione del presunto mobbing, il caso rimane sospeso a mezz’aria, come fosse una bagatella di cui si discuterà tempo permettendo. Rimane senza risposte, mentre il caos non scuote solo quello che qualcuno chiama il Palazzo dei veleni, ma soprattutto la fiducia nelle istituzioni di chi da fuori osserva esterrefatto questo sconfortante spettacolo.

 

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