ANALISI
Dalla parte dei lavoratori di Lugano Airport. Senza se e senza ma
Noi di Liberatv siamo sempre stati mossi da un principio: in dubio, pro posti di lavoro. Lo siamo stati per gli operai delle Officine, per i collaboratori della RSI e ora per i dipendenti dello scalo luganese
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Lo sfogo di un dipendente di Lugano Airport: "Non vogliamo compassione, vogliamo rispetto"

11 FEBBRAIO 2020
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 di Andrea Leoni 

Se chiudi gli occhi, e togli il soggetto, è buffo ascoltare le stesse accuse e le stesse parole d’ordine. A parti invertite. “Se non si vota a favore, si chiude”; “Non è vero”; “È un ricatto morale usare i licenziamenti in una votazione”; “Macché ricatto, è la realtà; “Fate terrorismo mediatico”; “Non esiste un piano b”; "Non difendete i lavoratori, ma la greppia e la casta". 

Se prima del 4 marzo 2018 era una parte della destra a doversi difendere dall’accusa di voler cancellare un’azienda pubblica e migliaia di posti di lavoro tramite l’iniziativa No Billag, oggi nella spiacevole posizione si trova l’area rossoverde con il doppio referendum sull’aeroporto di Lugano. Ed è abbastanza impressionante notare le similitudini argomentative, tra oggi e allora, rispetto alla parte del dibattito che ruota intorno a termini come “chiusura”, “ricatto” e “dipendenti”. Similitudini che, ovviamente, si limitano a questo, essendo imparagonabili i due oggetti in votazioni.

Un dato comune però resta. Senza un contributo pubblico né la SSR né l’aeroporto di Lugano possono sopravvivere e mantenere a libro paga i collaboratori. Non c’è alcun ricatto nell’affermare questa evidenza. Qualsiasi media pubblico, e qualsiasi infrastruttura nell’ambito della mobilità, esiste o meno solo grazie al denaro dei contribuenti. Non si scappa. Ed è un bene che l’elettore sia pienamente consapevole di questo principio, ora che dovrà decidere se salvare lo scalo di Agno, oppure chiuderlo. Le rispettive posizioni sono legittime. Ma entrambe le scelte comportano delle conseguenze, anche in termini occupazionali.

Dal nostro punto di vista non ci sono dubbi: Lugano Airport va mantenuto. E usiamo il verbo “mantenere” a proposito, dal latino manu tenere, cioè “tenere con la mano”. L’Ente pubblico deve infatti prendere per mano questa infrastruttura storica del nostro Cantone (80 anni di vita) e sorreggerla con tutte le sue forze ora che si trova sul precipizio del fallimento. Così come, soprattutto, deve tenere per mano i 74 dipendenti e le loro famiglie, tutte residenti nel nostro Cantone, salvo uno. Senza contare i lavoratori che operano nell’indotto.

Lo abbiamo scritto tante volte: in Ticino manteniamo un sacco di attività che senza la costante iniezione di denaro pubblico, sarebbero chiuse da un pezzo o neppure nate. Attività varie che interessano fasce diverse della popolazione o addirittura nicchie, dei cui servizi la stragrande maggioranza dei cittadini non usufruisce o addirittura ne ignora l’esistenza. La verità è che per dare una speranza all’aeroporto di Lugano e ai suoi lavoratori servono pochi spicci, rispetto ai budget miliardari di Cantone e Città di Lugano. Con quale coscienza vogliamo negarglieli? Qualcuno dirà che ne sono già stati spesi molti di milioni. Il che è vero ed è proprio per questo che ogni tentativo per cercare di salvaguardare quanto già è stato speso, va messo in atto. Anche mettendoci altri soldi. Può sembrare paradossale ma, allo stato dell’arte, potrebbe costare molto di più chiuderlo questo aeroporto, anziché liberare gli ultimi crediti votati dal Gran Consiglio e dal Consiglio Comunale.     

È vero, girano le balle se si pensa alla gestione dell’aeroporto degli scorsi anni. Errori ne sono stati fatti, anche gravi. Ma non si chiudono le aziende pubbliche, e non si lasciano a casa i dipendenti, perché la gestione da parte degli amministratori non è stata all’altezza. Questo è un modo di pensare piccolo, vendicativo, e soprattutto perdente. 

Sono cresciuto in un Cantone che difendeva con le unghie e con i denti le conquiste di minoranza (avere un aeroporto regionale riconosciuto dalla Confederazione per essere collegati con il resto della Svizzera anche via cielo), che non si arrendeva alle difficoltà imposte dai cambiamenti, che al verbo “chiudere” ha sempre preferito “rilanciare”. La chiusura è un punto di non ritorno, quando non sappiamo cosa ci riserverà il settore dell’aviazione in un mondo che viaggia a mille all’ora. Dobbiamo provarci fino all’ultimo a dare una possibilità a questo benedetto scalo. E se poi alla fine, dopo averle provate tutte ma proprio tutte, non ci saremo riusciti, amen. Meglio pentirsi di aver sprecato un po’ di soldi per cercare di salvare un centinaio di posti di lavoro in Ticino, anziché avere il rimpianto di non averci provato.

Noi di Liberatv siamo sempre stati mossi da un principio: in dubio, pro posti di lavoro. Lo siamo stati per gli operai delle Officine, lo siamo stati sostenendo l’iniziativa dei Verdi a favore dei salari minimi e denunciando le derive della Libera circolazione con il Manifesto sul lavoro (anno di grazia 2013). Lo siamo stati sostenendo i lavoratori della navigazione, quelli della piazza finanziaria e quelli della RSI. E anche questa volta siamo a fianco dei lavoratori dell’aeroporto di Agno e delle loro famiglie.

In Canton Ticino non possiamo permetterci di cancellare posti di lavoro e laddove lo Stato può intervenire per salvarli, come nel caso dello scalo luganese, che lo faccia. Senza se e senza ma.

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