ANALISI
Il decennio nero del PLR e il quarto presidente (e mezzo) in dieci anni
Dopo l'addio di Caprara chissà che non sia venuto il tempo di affidare la guida del partito ad una donna

di Andrea Leoni

E allora avanti un altro. Il PLR dopo l’estate designerà il quarto presidente e mezzo i dieci anni. Dopo la decade di Giovanni Merlini, conclusasi nel 2010, si sono infatti passati il timone liberale radicale Walter Gianora, Gabriele Gendotti nel ruolo di coordinatore (che contiamo mezzo), Rocco Cattaneo e Bixio Caprara, che ha annunciato ieri sera di non voler sollecitare un nuovo mandato. Il suo successore, il quarto presidente (e mezzo) in dieci anni, verrà designato in ottobre, alla vigilia delle elezioni comunali.

La lista di leader sacrificati nel decennio nero del PLR, trova sponda nella serie di sconfitte storiche del partito, cominciata con la perdita della maggioranza relativa in Consiglio di Stato (2011) e conclusasi con la perdita del seggio agli Stati (2019). In mezzo tante altre amarezze, come il sindacato delle due principali città, Lugano e Bellinzona.

A queste batoste il PLR ha sempre reagito allo stesso modo: progetto nel cestino e cacciata della dirigenza. O dimissioni - come nel caso di Rocco Cattaneo, il presidente “alieno” che probabilmente ha fatto meglio - prima che lo cacciassero. Stessa reazione, stesso risultato. In un loop che sembra interminabile.

La confusione genera confusione e l’instabilità produce nuova instabilità. Impossibile costruire un progetto solido su un terreno così magmatico. Certo, anche la velocità del nostro tempo - nella vita quotidiana, nella comunicazione e nella politica - ha contribuito a bruciare presidenti come fiammiferi. Ma questo fattore vale per tutti. È difficile che una presidenza possa lasciare una traccia significativa senza il tempo necessario per crescere e affermarsi, anche attraverso l’errore. Servono almeno sei otto anni.

Ma al presidente del PLR non è concesso sbagliare, non gli è consentito perdere, senza essere trascinato sul patibolo. E questo è un errore sciocco. Un lusso che ci si poteva concedere quando il partito era dominante, senza avversari, non oggi. Invece, dopo ogni sconfitta, al posto di un assunzione di responsabilità collettiva del corpo dirigente, si assiste al solito ritornello di critiche da parte di chi, sicuramente, avrebbe fatto meglio, ma poi non lo vuol fare o non ha i numeri per farlo. Troppo facile, amico.

Ha ragione Fabio Pontiggia quando, stamane sul Corriere del Ticino, sottolinea come la stagione politica non sia favorevole per un partito liberale, per i suoi valori, il suo metodo e le sue ricette. Non è facile resistere e tenere il punto, andare contro corrente, specie se in passato eri il re del fiume. Occorrono tempra e coraggio per portare avanti obbiettivi chiari e realistici, sia in ottica programmatica che elettorale. In questi ultimi tempi, tuttavia, abbiamo osservato - soprattutto a Lugano, la più grande sezione del Cantone - un PLR più preoccupato dei “però” che dei sì o dei no. Altra confusione.

Ad invertire la tendenza, oltre a una linea politica più schietta e riconoscibile, devono essere gli uomini e le donne, con le loro competenze e il loro carisma. Il problema è che i cavalli di razza - coloro che godono di maggiore consenso elettorale - ben se ne guardano dal candidarsi alla presidenza. Preferiscono far carriera nelle istituzioni, anziché bere l’amaro calice per il bene del partito. “È un ruolo ingrato quello del presidente - ha detto ieri Christian Vitta omaggiando Caprara - quando le cose vanno bene i meriti se li prendono gli altri, in caso di problemi il presidente è chiamato in prima persona a rispondere”. E Vitta - che è molto astuto - è proprio uno di quelli che in passato avrebbe potuto assumere la presidenza ma se ne è saggiamente tenuto alla larga. Così come prima di lui Ignazio Cassis e domani, immaginiamo, Alex Farinelli.

Così facendo si finisce sempre a pescare tra gli outsider o nelle seconde file. E il rischio di pescar male aumenta. E anche nel caso si scelga bene, dal profilo del talento, si tratta di persone che non hanno ancora la solidità e il bagaglio politico per reggere le pressioni: il rischio è che si logorino in fretta.

Il PLR, in tutto questo, resta comunque il partito di maggioranza relativa in Gran Consiglio e, per distacco, quello maggiormente rappresentato nei comuni. Questo è un fatto che non va dimenticato e rappresenta comunque un capitale prezioso sul quale provare a costruire. E chissà che non sia venuto il tempo di affidare, finalmente, a una donna la guida del partito. Dopo tanto provare tra liberale e radicale, tra sopra e sotto Ceneri, forse la cifra distintiva dalla quale ripartire è proprio quello femminile. 

 

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