ANALISI
Caro PLR, la soluzione è nominare il quarto presidente (e mezzo) in dieci anni?
Coloro che rivestono cariche pubbliche,  parafrasando Kennedy, dovrebbero cominciare a chiedersi cosa possono fare loro per il partito, e non viceversa

di Andrea Leoni

Bixio Caprara ha fatto un solo vero errore in quest’ultima tornata elettorale: il giorno della storica sconfitta al ballottaggio per il Consiglio degli Stati, avrebbe dovuto rimettere il suo mandato a disposizione del partito. Questa mossa, assai semplice, quasi banale, avrebbe da una parte sottolineato l’assunzione di responsabilità per il risultato, croce che tocca ad ogni leader sconfitto, dall’altra avrebbe indirizzato la discussione sul nocciolo della faccenda: togliamo dal tavolo il problema dell’allenatore e parliamo della squadra e del gioco che esprime.

Fuor di metafora calcistica: dell’azione politica del PLR, delle scelte strategiche di fondo, del suo posizionamento in questa nuova stagione che ha ridisegnato i rapporti di forza tra i partiti e le collaborazioni tra le varie forze politiche.

E, invece, con quella sua reazione un po’ troppo sulla difensiva e decisamene frastornata, il presidente Caprara ha attirato su di sé tutti i mirini. Il tema è diventato il suo futuro e non quello del PLR. Un errore che i liberali radicali  continuano a ripetere ossessivamente. In soli 9 anni si sono succeduti tre presidenti e mezzo, dopo l’addio di Giovanni Merlini: Walter Gianora, l’interregno coordinato da Gabriele Gendotti, Rocco Cattaneo e per, l’appunto, Bixio Caprara. E ora avanti il prossimo? Quattro presidenti (e mezzo) in dieci anni? Come si può costruire qualcosa di solido con questi continui cambi al vertice?

Alle varie crisi che hanno attraverso questa decade nefasta per i liberali radicali - dove sono stati persi 1 Consigliere di Stato, 1 Consigliere agli Stati, 1 Consigliere Nazionale, i sindaci di Lugano e Bellinzona, senza contare i deputati in Gran Consiglio - il partito reagisce sempre allo stesso modo: cambiamo il presidente, a meno che lo stesso non lasci per conto suo prima che lo caccino (Cattaneo). E in questa perenne ansia da sostituzione sono state provati tutti i profili possibili: il presidente scelto dalle due ali, il leader radicale, l’imprenditore liberale outsider, il centrista funzionario. Il risultato, più o meno, è sempre stato lo stesso: qualche sporadico alto, e molti bassi.

Questa vera e propria cannibalizzazione del timoniere, tra l’altro, non rende particolarmente appetibile la poltrona. I veri leader, quelli che fanno i voti, se ne guardano bene dall’assumere la carica. E così, gira e rigira, si finisce per pescare nelle seconde file o addirittura si cerca il Papa straniero. Si (ri)parte sempre da scelte deboli che inevitabilmente si logorano in fretta.

Qualcuno pensa di rilanciare partendo dai giovani. Buona idea, a patto che i giovani siano quelli che godono di un consenso popolare ampio e trasversale e dell’esperienza necessaria nelle istituzioni. I Michele Bertini, gli Alex Farinelli…ma le loro attuali cariche pubbliche sono compatibili con la presidenza? E, soprattutto, ne hanno voglia? Dubitiamo fortemente….

Ci sarebbero anche Natalia Ferrara, ma è molto divisiva all’interno del partito, oppure Nicola Pini (che fu a un passo dalla presidenza), visto però da taluni come troppo radicale.

Ecco, alla fine ci si perde sempre nel toto nomi, che però non è la soluzione, come la storia ha ampiamente dimostrato.

Il PLR anziché focalizzarsi sulla presidenza, potrebbe cogliere l’occasione di questa crisi per porre l’attenzione su se stesso.  Magari cominciando a tarare la propria posizione nel nuovo scenario politico: il partitone non tornerà più, così come non esistono più rendite di posizione. Ogni carica va meritata sul campo, legislatura dopo legislatura. E coloro che rivestono cariche pubbliche,  parafrasando Kennedy, dovrebbero cominciare a chiedersi cosa possono fare loro per il partito, e non viceversa. Quale contributo possono dare per sostenere una presidenza e non come impallinarla alla prima occasione utile, cullandosi nell’illusione che qualcuno, o loro stessi, farebbero sicuramente meglio.

 

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