ANALISI
Covid19: possiamo fare tutto, tranne non fare nulla
I modelli per contrastare la pandemia. La libertà d'espressione e quella degli infermieri di poter tornare a casa. La scelta di Liberatv di "bannare" chi diffonde fake news sul virus

di Andrea Leoni

Si può fare tutto, tranne che fare finta di niente e non fare nulla. Piaccia o no, la pandemia di Covid19 esiste e la seconda ondata è in corso. È un problema che investe il Mondo intero e ci tocca affrontarlo. Non ci sono scorciatoie, non c’è un metodo che non comporti sacrifici e rinunce, non esistono misure che non abbiano controindicazioni sanitarie, economiche e sociali. 

Per certi versi è come una guerra, se pensiamo ad esempio ai costi finanziari o alla limitazione di determinate libertà. Per altri non lo è affatto, perché le sofferenze sono infinitamente minori. Nessuno sta morendo di fame, almeno in Svizzera. Nessuno rischia che la sua casa venga distrutta da una bomba, che qualcuno gli spari in mezzo alla strada o che figlie e mogli vengano stuprate dai soldati.

Se guardiamo con distacco a quanto ci è stato chiesto dal Governo svizzero e da quello ticinese nel corso dell’ultimo anno, e che forse ci verrà rinnovato anche nell’anno venturo, si tratta di qualche settimana chiusi in casa e di alcune fastidiose regole comportamentali. In mezzo un’estate dove, bene o male, abbiamo potuto fare ciò che volevamo. “Tutto qui” (e non sfugge che nel “tutto qui” ci sono enormi disuguaglianze, e patimenti assai diversi, tra chi è ricco e chi è povero, tra chi vive in una bella casa e chi in un monolocale, tra chi è anziano e solo e chi è circondato dagli affetti, tra chi ha perso il lavoro e chi lo ha mantenuto).

Se però pensiamo alla miseria, alle sofferenze e ai soprusi che hanno dovuto sopportare i nostri avi tra le due guerre mondiali, o che altri esseri umani oggi, e ogni giorno, subiscono in molte parti del mondo, certi mugugni e certe proteste occidentali ritrovano una giusta dimensione, piccina picciò. Eppure è sintomatico della debolezza ormai intrinseca al ricco Occidente. Del resto le generazioni che dominano questo tempo in Europa - fatti salvi i Balcani - non hanno mai vissuto e combattuto una guerra sul proprio territorio, con tutti gli annessi e i connessi. Tra noi contemporanei non c’è insomma grande attitudine alla pena, al sacrificio, alla rinuncia. Siamo cresciuti nella bambagia del benessere, dell’opulenza, del consumismo. E così basta una qualunque sfida che attacchi le radici della nostra quotidianità, e delle nostre democrazie,  a mandarci in crisi. Sia essa il terrorismo o la pandemia.  Detto ciò, come in una guerra, anche nel mezzo di questa seconda ondata epidemica non è possibile prendersi una pausa. La battaglia è stata ieri, è oggi, sarà domani. Non possiamo rinviarla a quando saremo meno stanchi. Non possiamo andare in vacanza. 

Tuttavia, la decisione su come affrontare questa pandemia, spetta a noi. Non esiste un solo modello. C’è quello delle chiusure, che va per la maggiore in Europa, di cui conosciamo le catastrofiche conseguenze economiche. C’è quello della Corea del Sud e di altri paesi asiatici, basato su un controllo capillare e tecnologico dei cittadini, su tamponi di massa e su rigide quarantene in albergo, con la sostanziale cancellazione della privacy. C’è il modello svedese con misure assai lievi di confinamento, ma che sceglie chi curare e chi no  all’ospedale e che attualmente conta 5’933 morti, mentre la Svizzera è circa a 2’000. Ci sono poi altre opzioni da vagliare e da verificare per efficacia, come la possibilità di confinare solo coloro che sono a rischio per età o per patologie particolarmente sensibili al Covid, come il diabete, l’ipertensione e il sovrappeso.

Le opzioni, come abbiamo visto, non mancano. Tutte hanno delle conseguenze: dalla possibilità che le aziende chiudano ed esploda la disoccupazione, al rischio di riprodurre le scene delle bare di Bergamo. L’unica cosa che non si può fare è non sceglierne nessuna, tornando a vivere come prima nella speranza che la pandemia scompaia da sola. Non succederà. 

Per questo è importante non correre dietro ai pifferai che giocano su un artificio propagandistico vecchio come il cucù: dire quello che una parte dei cittadini desidera sentirsi dire. La libertà di espressione non c’entra nulla con la diffusione di bugie che, se credute, possono mettere in pericolo la salute altrui o il sistema sanitario. Per questo sulla pagina Facebook di Liberatv abbiamo deciso di “bannare” tutti quegli utenti che diffondo notizie false, come ad esempio che il virus non esiste o che indossare le mascherine fa male. Perché sarebbe come se lasciassimo scrivere sulla nostra bacheca come si fabbrica un ordigno, un invito a buttarsi dal balcone per allenare le articolazioni o a iniettarsi la candeggina per curare il raffreddore, o che i campi di concentramento non sono mai esistiti.

Anche la libertà scientifica si basa su denominatori comuni. Si può discutere se un farmaco o una terapia sia efficace o no. Si può confrontarsi sull'utilità delle restrizioni. Si può dibattere sulla mortalità del virus e quindi sulla proporzionalità delle reazioni. Ma non sul fatto che il virus esiste, che è in atto una pandemia e che nel Mondo il Covid ha già mietuto oltre un milione di morti nel Mondo.

Si può, anzi si deve, analizzare criticamente quanto fatto dall’OMS, il ruolo di Bill Gates, il comportamento tenuto dalla Cina all’inizio della crisi. Ma non si può inventarsi una cospirazione internazionale secondo la quale tutti i Governi, gli scienziati, i giornalisti, le aziende -  e chissà chi altro - sono in combutta per instaurare una sorta di dittatura, o chissà che altro. Bruciando tra l’altro miliardi ogni giorno (bell’affare!). Queste sono minchiate che non hanno nulla, ma proprio nulla, a che fare con la libertà d’espressione!

A proposito di libertà. Oggi Francesca Rigotti ha pubblicato sul Corriere del Ticino un lungo intervento intitolato “Mascherine e altre limitazioni: basta con le dittature del bene”. La filosofa, come si evince, ce l’ha con le misure restrittive in atto in Svizzera e in molti altri Paesi d’Europa. Per carità, un dibattito filosofico è sempre benvenuto e Rigotti non scrive alcuna falsità. Semplicemente antepone altri valori alla salute, provocando i lettori con il termine “dittatura”, che non esiste. La domanda senza risposta alla fine della lettura resta però sempre la stessa: tutto bello, tutto interessante - sul serio! - ma nella malaugurata ipotesi dovessero di nuovo esplodere gli ospedali, che facciamo? Perché questo è il problema a cui, volenti o nolenti, dobbiamo dare una risposta. Le chiacchiere stanno a zero.

Tra tutte le libertà che in questo ore vengono elencate, ne mancano alcune altrettanto importanti. Tipo la libertà di non essere contagiati a causa di comportamenti irresponsabili. La libertà dei medici e degli infermieri di poter tornare a casa dalle loro famiglie, anziché rimanere in albergo, e di poter svolgere il proprio lavoro senza doversi sottoporre a turni massacranti. C’è anche la libertà di chi soffre di altre malattie ad essere curato, senza dover aspettare perché tutto lo sforzo del sistema sanitario è concentrato sulla lotta al Covid. Se nella nostra bolla d’individualismo pensassimo anche a queste libertà, a questi diritti, sarebbe assai più prezioso di tanti applausi sul balcone, esibiti quando ormai è troppo tardi.

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