SECONDO ME
La vita (breve) dei presidenti di partito
Fiorenzo Dadò: "Si tende a dare la responsabilità a pochissime persone di un lavoro che per avere successo non può che essere collettivo"
TIPRESS

*Di Fiorenzo Dadò

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un frequente ricambio alla dirigenza dei partiti, senza che nessuno sia stato in grado di ridare attrattività alla propria bandiera, salvo qualche puntuale risultato positivo dato dalle circostanze favorevoli più che dalla strategia. Mentre un tempo si assisteva a presidenze ventennali come quella del compianto Alberto Stefani, oggi è più un “gettar la spugna” dopo pochi anni, ognuno con le proprie motivazioni più o meno di circostanza; questo dovrebbe far riflettere! In pratica nessun dirigente succedutosi negli ultimi tempi alla testa dei partiti ticinesi è riuscito non dico a realizzare, ma anche solo ad abbozzare quelle riforme che, per quel che riguarda il PPD, si ventilavano già (parzialmente) nel 1987 con il rapporto Jauch.

Le dimissioni di Righini, di Caprara

Ultime in ordine di tempo sono arrivate improvvise le dimissioni dei colleghi Bixio Caprara e Igor Righini. Il primo, eletto alla presidenza dopo di me, lascerà ad ottobre, dopo che è stato criticato da una frangia del suo partito che, invece di dargli una mano per il raggiungimento del successo collettivo, ha fatto di tutto per far fallire il risultato. Righini, per contro, ha lasciato l’incarico in fretta e furia dopo che è stato ripagato in malomodo, uscendo malconcio dalla votazione al Consiglio nazionale. I commenti che si sono succeduti sulla stampa, per quanto interessanti, fanno riferimento al passato e ai massimi sistemi, peccando di scarsa conoscenza dell’attività, dell’impegno e dei problemi concreti che devono affrontare oggigiorno le persone che ricoprono questa carica, per non parlare delle delusioni. Riassumendo, si tende a dare (per comodità?) la responsabilità a pochissime persone di un lavoro che per avere successo non può che essere collettivo. Poi, in assenza di risultati positivi, si punta il dito.

Le vicende del PPD e l’esempio delle api

Il PPD perde consensi da 40 anni e nessuno sino ad oggi è riuscito ad arrestarne l’emorragia. Ancora recentemente il PPD svizzero ha promosso un sondaggio mettendo in discussione nome e principi, quasi fossero quest’ultimi a sbiadirne l’immagine e quindi non l’incoerenza tra i proclami e le posizioni politiche. Quando siamo stati chiamati a dirigere il PPD all’inizio del 2017, eravamo ben consapevoli delle insidie ma probabilmente nessuno di noi si è reso conto ad esempio della forte correlazione tra l’attrattività regionale del Partito con le scelte dello stesso a livello nazionale. In pratica, è anche possibile lavorare giorno e notte in una regione per ottenere dei consensi, ma poi basta una sola scelta a livello nazionale indigeribile ad una buona parte degli aderenti per vanificarne l’effetto.

L’idea dell’ufficio presidenziale era e rimane quella di rendere la nostra azione popolare e maggiormente coerente con i valori di riferimento, assumendo posizioni coraggiose e chiare. Questo, per quanto arduo, è e resta l’obiettivo, ma per realizzarlo è necessario un lavoro di cooperazione generale dove tutti remano nella stessa direzione. L’esempio più virtuoso, dei veri e propri campioni del lavoro di squadra, è quello che vediamo in natura da parte degli imenotteri, ossia delle api. Questi animali straordinari lavorano insieme, ognuno secondo il proprio ruolo, così da aumentare la probabilità di successo della propria compagine; conta il risultato collettivo, non solo l’obiettivo individuale. Cerchiamo, ognuno per quel che può, di trarne esempio.

*Presidente cantonale PPD 

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