"Gli esegeti svizzeri dell’anti-europeismo e i tatticismi dei partiti di centro, tacciono i fatti"
di Paolo Rossi
La penosa agonia dell’accordo quadro, fa gioire una parte della Svizzera. Comprensibile per chi vive ormai ogni avvenimento con lo spirito del tifoso, che non è chiamato a riflettere sui fatti, ma unicamente a conformarsi alle emozioni del proprio cuore. Meno comprensibile, l’incapacità di prescindere dalle emozioni e l’assenza di riflessione storica attorno a questo tema, da parte di coloro che dovrebbero essere chiamati ad assumere la responsabilità delle decisioni.
La realtà dei fatti è che, a partire dalla votazione sullo spazio economico europeo (EWR) nel 1992, tutte le volte che la Svizzera ha rinegoziato un accordo con l’EU l’ha fatto al ribasso, lasciando sul terreno pezzettini del proprio passato. Innegabile è pure che piccoli Stati simili alla Svizzera, quali il Lussemburgo e l’Austria abbiamo, con la loro adesione all’EU, guadagnato posizioni nel contesto internazionale nei confronti della Svizzera, in particolare nei settori a noi più congeniali (come la finanza). Senza spendersi in grandi analisi, forse il fatto che l’EU conti un mercato interno di 450 milioni di persone, mentre la Svizzera ne conta 8 milioni (60 volte di meno), gioca un ruolo significativo nei rapporti di forza. Come pure conta il fatto che l’EU copra ca. il 60% delle nostre esportazioni per un valore di 200 miliardi di CHF all’anno. Forse, nella dimensione storica dei rapporti Svizzera – EU, conta anche il fatto che in quest’ultima il numero dei Paesi pagatori diventa sempre più ristretto e che la Svizzera non ha mai giocato seriamente questa carta, che rappresenta il suo vero asso nella manica (ma l’ha fatto solo molto timidamente e con reticenza con il miliardo di coesione per l’Est europeo).
Gli esegeti svizzeri dell’anti-europeismo e i tatticismi dei partiti di centro, tacciono (ma non ignorano) questi fatti, come pure che le filippiche sull’imminente tracollo dell’EU, fatte da (apparentemente) influenti “opinion makers”, sono state parole a vuoto (non analisi, ma slogan). Forse sarebbe il caso di cambiare passo, di abbandonare una politica difensiva che ha dato solo frutti negativi nell’ultimo trentennio, per provare ad assumere una strategia più aggressiva, valorizzando i nostri punti di forza e in particolare la stabilità finanziaria e la nostra posizione di Paese pagatore nel contesto europeo (almeno fintanto che questa condizione sussiste).
In fondo ogni accordo, anche tra Stati, è una transazione commerciale e va trattata come tale. Mischiare, girando la testa all’indietro per rimirare il nostro passato, ideologia e stati d’animo con la capacità di guardare freddamente alla realtà dei fatti ci ha condotto in questo vicolo cieco. Si dovrebbe invece cominciare ad operare con quel sano pragmatismo che ha fatto grande la Svizzera nel secolo scorso, conducendo di conseguenza una trattativa commerciale, nell’interesse del Paese, della sua popolazione e della prosperità economica.