"Il conflitto israelo-palestinese è alimentato dal terrore reciproco della distruzione: ogni parte teme che l’altra voglia sterminarla o scacciarla dalla Palestina"
di Martino Rossi*
“Crocifiggilo, crocifiggilo!”. È l’esortazione drammatica rivolta a Ponzio Pilato dai capi dei sacerdoti giudei, secondo la Passione di Cristo narrata nel Vangelo di Giovanni. Abbiamo sentito quelle parole, rivestite dalla musica sublime di Bach, nella ‘Johannes Passion’ che ci è stata offerta da Diego Fasolis con i Barocchisti, il coro Rsi e i solisti.
La suggestione del testo e della musica, l’intensità drammatica del racconto evangelico, la commozione che suscita in tutti, credenti o no, è davvero potente. Nella presentazione del concerto si legge che questa Passione “rappresenta il culmine di una tradizione di lunga data, risalente al Medioevo, di ‘figurare’ la Passione di Cristo durante la Settimana Santa”. Il richiamo a quella tradizione e il momento in cui il concerto è stato eseguito ci ha fatalmente rinviati a un dato storico sconcertante e all’attualità di quella Terra in cui la Passione è stata vissuta duemila anni fa.
Il dato storico sconcertante è che le rappresentazioni medievali della Passione hanno alimentato per secoli le discriminazioni e persecuzioni dei “giudei” nel mondo cristiano, ben peggiori di quelle nel mondo islamico. Perché la narrazione giovannea della Passione è martellante: il governatore romano, Ponzio Pilato, non vuole uccidere Gesù perché, dice: “Io non trovo in lui colpa alcuna”; i giudei, aizzati dai loro capi religiosi, insistono che sia crocifisso; Pilato lo vuole liberare e dice loro che “vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi”; ma quelli rispondono: “Non costui, ma Barabba!”, un brigante.
L’attualità cui si è rinviati dalla Passione è drammatica. In quel “sabato rosso” di sangue del 7 ottobre mille “giudei” sono stati “crocifissi” dai “filistei” (nome antico del popolo di Gaza, da sempre in lotta con gli israeliti). A loro volta, i “giudei” di oggi hanno “crocifisso” trentamila palestinesi di Gaza, ben oltre il biblico “occhio per occhio”. E alcune voci sembrano ancora gridare “uccideteli, affamateli, distruggete le loro case”, seguendo il vicepresidente del parlamento che il 7 ottobre aveva scritto: “Ora abbiamo tutti un obiettivo comune: cancellare la Striscia di Gaza dalla faccia della terra”.
Ma dopo la Passione vi sarà, come vi è stata, la Resurrezione? Lo storico e filosofo israeliano Harari ci dice che è molto difficile, ma non impossibile. In un articolo lucidissimo (Ft del 16.3.24) spiega che il conflitto israelo-palestinese è alimentato dal terrore reciproco della distruzione: ogni parte teme che l’altra voglia sterminarla o scacciarla dalla Palestina. Purtroppo, sostiene, non si tratta di paranoia ma di timori fondati sulla storia e su un’analisi solida delle intenzioni della parte avversa. Ricorda i 750’000 palestinesi scacciati dalle loro case nel 1948 e poi i ripetuti massacri ed espulsioni in Palestina, Libano, Kuwait, che continuano tuttora in Cisgiordania e a Gaza.
Quanto agli ebrei, ricorda che questi, ancora sconvolti dal trauma dell’Olocausto, hanno dovuto fronteggiare già nel 1948 il tentativo dei Paesi arabi e dei palestinesi di annientare la loro presenza in Palestina; e poi la cacciata di 800’000 ebrei da Egitto, Iraq, Siria, Yemen, Libia. Ricorda infine che ogni israeliano vive tuttora nel timore di essere ucciso o rapito, ciò che è successo il 7 ottobre. È una trappola per entrambe le parti. Queste devono confessare a sé stesse i loro pensieri oscuri: “Vorrei sbarazzarmi dell’altra parte; questa ha dunque ragione di cercare di eliminarmi; perciò devo muovermi per prima io”. E devono riconoscere che questo scenario di “nuovo Olocausto” o“nuova Nakba” non è praticabile. E che quindi occorre cambiare il paradigma. Ogni individuo e ogni comunità deve dirsi: “A prescindere dalle ingiustizie subite, rispetto il diritto dell’altro a vivere come me nel Paese dove è nato”.
Difficile ma non impossibile. Secondo Harari, dal fiume al mare c’è spazio per tutti. E i due milioni di arabi che sono già cittadini israeliani si sentono appartenere sia a Israele, sia alla Palestina. Questo sentimento può allargarsi alla maggioranza degli altri israeliani e degli altri palestinesi. Non ci sono alternative. È la sola via per la Resurrezione. È Pasqua, crediamoci anche noi.
*economista e già capogruppo del PS in Consiglio Comunale a Lugano - Articolo pubblicato sull'edizione di sabato de La Regione