L'ex presidentissimo del PPD tra pochi giorni comunicherà alla Commissione Cerca la sua decisione. Ecco i nodi di una scelta difficile sia per lui che per il partito
di Andrea Leoni
Un giorno è sì. Un giorno è no. E un altro giorno è ni. Sono settimane di riflessioni travagliate per Giovanni Jelmini. D’altra parte la decisione da prendere è di quelle complicate: candidarsi o no al Consiglio di Stato alle prossime elezioni cantonali?
Ieri il presidente in carica Fiorenzo Dadò, ha ufficialmente rinunciato a figurare sulla lista del PPD. Una scelta che, in un certo senso, potrebbe facilitare l’ingresso sulla scena dell’ex presidentissimo. La presenza di entrambi, infatti, sarebbe stata impossibile.
Ma non è così semplice. Jelmini nelle scorse settimane è stato sentito della Commissione Cerca, alla quale ha dato una disponibilità di principio. Una disponibilità, tuttavia, vincolata alle esigenze del partito: se il PPD ha bisogno di me in questo momento di difficoltà, ci sono, ma la mia candidatura non deve creare spaccature interne o malintesi. Questo, in soldoni, il messaggio dell’ex presidente.
Giovanni Jelmini si trova tra due fuochi. Da un lato la base azzurra del Mendrisiotto che lo spinge con insistenza a candidarsi e la passione sempre viva per la politica cantonale, di cui è stato tra i protagonisti per oltre un decennio. Dall’altra ragionamenti politici che presentano qualche controindicazione.
Vediamo quali. Innanzitutto c’è la sfida a Paolo Beltraminelli. Jelmini potrebbe essere sulla carta il candidato con maggiori credenziali per insidiare il seggio del ministro uscente, ma l’ex presidente non vuole che si inneschi la dinamica perversa della rivincita. Nel 2011, infatti, i due si sfidarono in una lotta all’ultimo voto in cui, alla fine, prevalse Beltraminelli grazie al sostegno decisivo degli elettori degli altri partiti.
Jelmini non vuol passare come quello che non ha digerito la sconfitta e oggi si ripresenta per regolare i conti con il passato. Lui è fuori da tempo dalla mischia e si trova benissimo tra le riserve repubblicane del PPD. Non ha rancori o nodi da risolvere con il Consigliere di Stato uscente. Tiene molto al fatto che questo aspetto non venga mal interpretato, nel caso decidesse di candidarsi.
Un altro aspetto che gli sta a cuore riguarda le altre candidature pipidine del Mendrisiotto che sono sul tavolo. In particolare quella del suo concittadino, Michele Rossi, che ha già dato la sua disponibilità. È impensabile che ci siano entrambi sulla lista: finirebbero soltanto per mangiarsi i voti a vicenda. Un’altra spaccatura da evitare in ogni modo e che può essere superata soltanto con un accordo amichevole e condiviso tra le parti.
Jelmini si è preso ancora qualche giorno di riflessione, poi contatterà la Commissione cerca per comunicare la sua decisione. Una decisione, va sottolineato, che qualora fosse positiva, non significherebbe una candidatura automatica. Ma soltanto la conferma di una disponibilità. Poi, ovviamente, toccherà ai vertici del partito tirare le somme e chiudere la lista.
In tutto questo, c’è un ragionamento di fondo. Il PPD dovrà decidere se rendere davvero contendibile il seggio di Beltraminelli in questa tornata elettorale, oppure rimandare la sostituzione in Governo tra quattro anni, quando il ministro lascerà la carica dopo 12 anni di servizio. Diversi tra i papabili successori potrebbero fare questo calcolo. Un nuovo Consigliere di Stato, viceversa, chiuderebbe la strada a molte ambizioni. Ma una lista senza una competizione credibile interna, quanti danni potrebbe fare al PPD alle prossime elezioni?