OLTRE L'ECONOMIA
L'economia ticinese è "stabile e di segno positivo nonostante le incertezze": i risultati dell'inchiesta congiunturale
Le previsioni per il 2020 restano in linea con l'andamento 2019. Il 74% delle imprese ha valutato in maniera favorevole l'andamento degli affari nello scorso anno

TICINO – Sulla base dell’annuale inchiesta congiunturale condotta presso i soci della Cc-Ti, alla quale hanno partecipato 330 aziende, emerge un andamento economico generale stabile e di segno abbastanza positivo malgrado le numerose incertezze del panorama internazionale. Ciò risulta essere in linea con le tendenze delle altre regioni svizzere e quelle nazionali.

Per la prima volta da quando viene svolta l’inchiesta (giunta alla decima edizione), si nota una flessione degli investimenti effettuati e previsti per nel 2020. Pur rimanendo i valori su livelli buoni, è un fattore a cui occorre prestare attenzione e che ha varie cause come le tensioni internazionali, alcune incertezze a livello interno e la costante erosione dei margini in atto da diversi anni e che ora si manifesta anche nel campo degli investimenti.

Le previsioni per il 2020 restano comunque in linea con l’andamento del 2019, a differenza di altri cantoni che, disponendo di un’economia meno diversificata, prevedono un rallentamento degli affari. L’inchiesta ha anche fatto emergere un buon livello di sensibilità delle imprese verso il tema della Responsabilità sociale delle aziende (CSR), con molte azioni e iniziative concrete soprattutto da parte delle aziende di grandi dimensioni.

L’andamento generale degli affari nel 2019 è risultato di segno positivo, sostanzialmente confermando le aspettative espresse nel 2018. Il 74% delle imprese ha valutato in maniera favorevole l’andamento degli affari nello scorso anno (soddisfacente per il 42% delle aziende, buono per il 32%). A differenza dello scorso anno, nell’ambito industriale legato all’export l’andamento per il 2019 è risultato in linea con quello dell’andamento generale, mentre lo scorso anno era leggermente inferiore. Questo malgrado un contesto internazionale molto nervoso, l’inasprimento dei conflitti commerciali, l’incertezza dei rapporti con l’Unione europea (UE) e sull’esito della Brexit, nonché le difficoltà di alcuni importanti mercati di riferimento.

Per quel che riguarda le previsioni sull’andamento degli affari a breve termine, cioè̀ per i prossimi 6 mesi, il 43% delle aziende segnala aspettative soddisfacenti, mentre il 31% le giudica buone. Per il secondo semestre del 2020, le previsioni sono di un’evoluzione soddisfacente per il 46% delle aziende e buona per il 31%. Le previsioni nell’ambito delle esportazioni registrano valori simili.

Margine di autofinanziamento delle imprese

Come sempre, particolare attenzione viene data ai valori espressi quanto al margine di autofinanziamento delle aziende, perché si tratta di un indicatore importante del loro stato di salute. Dal 2017 tale margine aveva registrato un miglioramento dopo qualche anno di flessione, attestandosi su livelli molto buoni. Il 70% delle imprese (nel 2018 era il 69%) giudica positivamente il margine di autofinanziamento e la conferma di questa tendenza è un indicatore importante della capacità competitiva del nostro sistema.

Investimenti

Pur mantenendosi il livello degli investimenti su livelli buoni, si nota una flessione rispetto al 2018 e per le previsioni 2020. Nel 2019 il 46% delle aziende ha effettuato investimenti, mentre nel 2018 si trattava del 50%. Flessione nell’ambito industria/artigianato dal 66% al 58% e in quelli dei servizi/commercio dal 44% al 41%. Non si tratta di un calo allarmante ma va comunque monitorato con attenzione. E’ spiegabile con diversi motivi.

Se le incertezze internazionali non hanno (ancora) compromesso l’andamento degli affari, le guerre commerciali in atto e le tensioni in genere in vari paesi hanno sicuramente frenato gli investimenti in vista delle evoluzioni future. Anche l’esito della Brexit è ovviamente atteso con impazienza, trattandosi del Regno Unito di un mercato d’esportazione importante per la Svizzera (e quindi anche per molte aziende ticinesi). L’incertezza quanto ai rapporti con l’UE ha sicuramente pure svolto un ruolo, così come talune discussioni interne (nazionali e cantonali) su alcune condizioni-quadro per le aziende (ad esempio la riforma fiscale).

Un elemento che emerge è però anche l’erosione costante dei margini di utile in atto da diversi anni e che ora mostra qualche conseguenza limitando la capacità e/o la disponibilità agli investimenti. Per il 2020 40% delle aziende prevede investimenti. Questo valore è tradizionalmente più basso di quello dell’anno appena trascorso, perché sempre improntato sulla prudenza. Gli elementi summenzionati giocano indubbiamente un ruolo. Nessuna sorpresa sul fatto che il livello degli investimenti resta molto maggiore per le strutture di grandi dimensioni (oltre i 100 collaboratori), a poca distanza le medie (fra i 30 e 100 collaboratori) e infine quelle più piccole (meno di 30 collaboratori).

Attenzione verso l’occupazione

L’attenzione verso l’occupazione si è riconfermata anche nel 2019 con una sostanziale stabilità dell’effettivo espressa dal 66% delle aziende che hanno partecipato all’inchiesta. Per il 2020 solo l’8% delle aziende prevede una riduzione del personale, a fronte di un 77% di aziende che segnala una stabilità dell’effettivo e di un 15% che ne prevede un aumento.

La responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social Responsibility, CSR)

Per la prima volta nell’inchiesta congiunturale, un capitolo è stato dedicato alla CSR, che analizza l’impatto sociale e ambientale delle attività imprenditoriali. Per la Confederazione è un contributo delle aziende allo sviluppo sostenibile. La CSR si riferisce a un’ampia varietà di tematiche di cui il management aziendale deve tenere conto, come le condizioni di lavoro, i diritti umani, la tutela dell’ambiente, la prevenzione della corruzione, la concorrenza leale, gli interessi dei consumatori, la fiscalità e la trasparenza. L’inchiesta mirava a capire se le aziende negli ultimi due anni hanno realizzato azioni o progetti atti a migliorare le prestazioni economiche integrando nel contempo questioni ambientali o sociali. I dati sono stati valutati da Jenny Assi e Caterina Carletti docenti ricercatrici SUPSI – DEASS.

L’attenzione nei confronti del tema espressa dal 41% delle aziende partecipanti all’inchiesta è un valore interessante, con un 49% nel settore industria/artigianato. Questa attenzione si è tradotta in azioni concrete, motivate soprattutto dai valori e dalle convinzioni della dirigenza (65%), perché lo sviluppo sostenibile è uno dei valori essenziali dell’impresa (57%) e per il miglioramento dell’immagine dell’azienda (44%). Le esigenze dei mercati internazionali (13%), la speranza di ottenere guadagni a livello finanziario (12%) e le richieste da parte dei clienti (6%) non figurano tra le motivazioni principali. Tale dato può essere letto come un’interpretazione dello sviluppo sostenibile legata ai valori dell’imprenditore che, soprattutto nelle piccole e medie imprese, si sovrappongono con i valori dell’azienda.

L’assenza di sollecitazioni da parte del mercato e degli enti finanziatori non rappresenta invece la tendenza in atto a livello internazionale mentre la pressione interna (28%) mette in evidenza il ruolo dei collaboratori rispetto al tema. Gli ostacoli a misure concrete sono sostanzialmente la mancanza di tempo (35%), la carenza di mezzi finanziari (31%) e l’assenza di risorse competenti (22%). Non è un caso che la mancanza di tempo risulti maggiormente rilevante nelle imprese di piccole dimensioni che hanno meno di 30 collaboratori (38%), mentre la mancanza di mezzi finanziari viene indicata dal 43% di imprese che hanno da 30 a 100 collaboratori. Come previsto, le strutture più grandi hanno meno difficoltà a implementare talune misure.

Questi dati appaiono particolarmente significativi in quanto indicano una serie di limiti oggettivi legati alle risorse disponibili ma anche un’assenza di competenze specifiche sul tema, anche in termini di valutazione e misurazione degli impatti. Vi è quindi una necessità di formazione che la Cc-Ti e le associazioni a essa legate cercheranno di colmare, promuovendo in particolare programmi formativi.

Mobilità aziendale

Fra le azioni concrete, anche il molto discusso tema della mobilità aziendale presenta caratteristiche simili alle risposte precedenti, con il settore dell’industria/artigianato che nel 45% dei casi dispone di piani di mobilità o comunque promuove iniziative in questo ambito rispetto a un 33% nell’ambito dei servizi. Le imprese con più di 100 collaboratori dispongono di piani di mobilità nel 77% dei casi mentre le imprese con meno di 30 collaboratori (26%) risultano invece meno attive sul tema.

Tra le iniziative intraprese, l’incoraggiamento all’uso dei mezzi pubblici raccoglie il maggior numero di consensi (56%) seguono la promozione del car sharing (50%) e l’ottimizzazione della gestione dei parcheggi (35%). La promozione dell’uso dei mezzi pubblici appare più rilevante per il settore dei servizi/commercio (54%) e per le imprese con meno di 30 collaboratori (49%), mentre la promozione della mobilità condivisa viene maggiormente promossa nel settore dell’industria (67%) e tra le imprese che hanno da 30 a 100 collaboratori (58%).

Buone pratiche

Interessante è quanto emerge a proposito delle buone pratiche. Per buona pratica si intende un approccio metodologico, un’idea progettuale o una soluzione operativa che permettano di ottenere il risultato migliore nel raggiungimento di un obiettivo o nella risoluzione di un problema. Una buona pratica si definisce tale quando permette di creare un cambiamento in termini di innovazione, quando è trasferibile e replicabile in altri contesti, quando è sostenibile e misurabile in termini di costi e ricavi. Inoltre una buona pratica si riferisce a soluzioni che superano gli obblighi di legge. Oltre alle risposte al questionario molte imprese hanno integrato i dati con una descrizione delle buone pratiche messe in atto nei vari ambiti e complessivamente sono state rilevate 138 buone pratiche suddivise in 32 diverse tipologie.

Molte imprese hanno evidenziato più di una buona pratica. Le segnalazioni hanno riguardato tutti gli ambiti della responsabilità sociale delle imprese: dalla governance ai rapporti col mercato, con i collaboratori, con la comunità e con l’ambiente. Gli interventi nel settore dell’ambiente costituiscono l’ampia maggioranza (78%) con iniziative che vanno dal riconoscimento di contributi alla mobilità aziendale all’installazione di pannelli solari, alla riduzione dell’utilizzo della carta, anche attraverso la creazione di archivi elettronici, alla sostituzione del parco auto con veicoli sostenibili, all’abolizione della plastica monouso.

A seguire le iniziative riservate ai collaboratori con una particolare attenzione allo smart working, mentre nell’ambito della governance dell’impresa viene citato qualche esempio nel settore delle certificazioni così come nell’ambito dei rapporti con la comunità la buona pratica più diffusa è rappresentata dalle donazioni. L’attenzione e la sensibilità nei confronti del tema appare in crescita. L’impressione è che il tema sia ancora prevalentemente legato ad una dimensione valoriale e alla tutela dell’ambiente, due argomenti all’ordine del giorno e che toccano l’interesse del grande pubblico.

Appare ancora latente la percezione della sostenibilità come fattore legato alla competitività aziendale sia per un’assenza di competenze specifiche sul tema sia a causa della mancanza di tempo e di risorse. La necessità di una programmazione degli interventi in questo ambito e la valutazione del loro impatto rappresentano un obiettivo da raggiungere per evitare che un ritardo nell’affrontare questo tema diventi un problema per le imprese che si dovranno confrontare con mercati sempre più orientati a questo approccio.

Un altro aspetto che dovrà essere valutato sarà la possibilità di disporre di buone pratiche semplici e accessibili da poter utilizzare a prescindere dalle dimensioni dell’impresa e dal settore di appartenenza. Infine è importante sottolineare che, a fronte dell’impegno dichiarato dall’amministrazione cantonale sui futuri obiettivi di sostenibilità del territorio, l’atteggiamento delle imprese sarà determinante per il conseguimento degli obiettivi di sostenibilità. Sarà quindi opportuno avviare progetti di sostegno e di formazione soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese affinché possano affrontare il tema con strumenti adeguati.

Un campione rappresentativo

Hanno partecipato all’inchiesta 330 imprese associate alla Cc-Ti, che impiegano in tutto 19’978 dipendenti nel cantone. Si tratta di 97 aziende del settore industria-artigianato e di 233 del comparto commercio e servizi. È ormai un campione di aziende consolidato di un rilevamento che si svolge da dieci anni. I risultati sono quindi da considerarsi attendibili e rispecchiano la situazione reale del nostro Cantone. Inoltre, le tendenze che emergono sono sempre confermate da altre ricerche congiunturali condotte da istituti federali e cantonali e dai dati ufficiali della Confederazione.

L’inchiesta è stata condotta unitamente alle Camere di commercio e dell’industria di Friborgo, Giura, Neuchâtel e Vaud.

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