Consiglio di Stato e Gran Consiglio hanno mancato l’obbiettivo principale: mettere sul piatto ciò che ha funzionato e ciò che no nella gestione ticinese della pandemia di Covid19
di Andrea Leoni
Poteva essere l’occasione per una verifica serena nei toni ma rigorosa nel merito, per analizzare quanto accaduto in Ticino negli ultimi tre mesi. Non tanto per soddisfare istinti processuali, quanto per fissare alcuni paletti affinché il futuro sia meno funesto del presente, alla bisogna. Invece il rito democratico si è risolto in un interminabile, e autoreferenziale, esercizio di ginnastica politica.
Consiglio di Stato e Gran Consiglio hanno mancato l’obbiettivo principale: mettere sul piatto ciò che ha funzionato e ciò che no nella gestione ticinese della pandemia di Covid19. Critica e autocritica sono rimaste fuori dalla sala del Palazzo dei Congressi. È sembrato che Esecutivo e Legislativo avessero più voglia di voltare pagina e di lasciarsi alle spalle questa brutta storia, anziché di rileggerla, passo dopo passo e fino in fondo, con spirito critico. A propiziare questa piega è stato senz’altro il clima di rinascita e di speranza che alberga in tutti noi: la voglia di riprenderci la nostra quotidianità sommata ai pochi contagi delle ultime settimane. Tutto giusto, però delle istituzioni forti dovrebbero saper fare i conti, al di là del vento che spira nel presente.
L’intera giornata di ieri è stata costruita con l’idea di una celebrazione, in diretta televisiva, più che di un serio e faticoso debrifing. Le prime tre ore di dibattito appaltate al Governo, con l’intervento di quattro ministri e due funzionari, Giorgio Merlani e Matteo Cocchi, tutti intenti a ripetere fatti e circostanze ampiamente noti, sono state una crassa esagerazione bulgara. Poi il rosario stanco dei gruppi parlamentari, con discorsi fitti di debordante retorica e con poca competenza sulla materia e sui passaggi chiave che abbiamo vissuto in Ticino. Le domande puntuali delle interpellanze, alcune delle quali ampiamente superate dai fatti, alcune no, a tarda sera. E buonanotte ai suonatori!
Mancavano, volutamente, tutti i presupposti per un dibattito franco e coraggioso, rispettoso delle vittime e delle loro famiglie, dei malati che hanno lottato tra la vita e la morte, di chi ha lavorato notte e giorno al fronte. Mancava soprattutto il punto di partenza dal quale cominciare ogni ragionamento: ieri, all’inizio della seduta di Gran Consiglio, si contavano 3’306 contagi e 348 morti. Numeri drammatici che pongono il nostro territorio nel girone dei peggiori. Onestà ci impone di dire che il margine per fare meglio era ed è molto maggiore rispetto a quello di fare peggio.
Questo dato di fatto è scomparso totalmente dalla scena. Invece proprio da lì si doveva partire. Poi ogni spiegazione poteva avere la sua dignità come degni di nota, e di gloria, sono i meriti che il Governo e lo Stato maggiore di condotta hanno raccolto nella gestione di alcuni passaggi dell’emergenza.
Si poteva insomma parlare di sfortuna, di un virus sconosciuto, di una crisi epocale che ha travolto buona parte del Mondo e non solo il Ticino…. E poi, dopo tutte le spiegazioni e le giustificazioni possibili e immaginabili, occorreva chiedersi: ma qualcosina abbiamo sbagliato anche noi? Gli unici accenti critici sono stati rivolti alla Confederazione. Vero, ma troppo facile e insufficiente per spiegare il quadro complessivo.
C’è chi in queste settimane ha reclamato a gran voce la necessità di tornare il più in fretta possibile alla normalità democratica pre Covid, dove i poteri tra Governo e Gran Consiglio sono bilanciati secondo prassi legislative consolidate. Certo però che se il ruolo del Parlamento è quello che abbiamo osservato ieri, anche se ce la si prende con un po’ più di calma, non succede nulla…