Il pressing del mondo sanitario e la resistenza del Governo. Il bisogno di una strategia condivisa. Il ruolo del Gran Consiglio
di Andrea Leoni
È andata così: dall’inizio della scorsa settimana, e in particolare tra giovedì e venerdì, il mondo sanitario ticinese ha attuato un pressing fortissimo sul Consiglio di Stato. Un mondo sanitario ticinese insolitamente compatto - dal medico cantonale, ai responsabili degli ospedali fino all’Ordine dei medici - nel chiedere con grande determinazione ai ministri misure urgenti e forti per contrastare la seconda ondata pandemica in Ticino. Il tono e le parole dell’appello firmato da Franco Denti e Christian Garzoni, ben riassumono il livello di angoscia che alberga nei cuori e nelle menti di chi si batte quotidianamente nella trincea ospedaliera (leggi articolo correlato, ndr.).
La pressione dei medici, tuttavia, non sembra aver fatto breccia più di tanto nell’Esecutivo. Tutto si è risolto con una conferenza stampa domenicale, dai toni e dalle tonalità allarmanti, con i soliti richiami alla responsabilità individuale, ma sostanzialmente con una sola misura: non trovatevi in più di cinque, in casa e fuori.
Inevitabile la delusione degli specialisti che si aspettavano ben altro. Delusione, quasi frustrazione, che ha trovato parola sia pubblicamente che a microfoni spenti. “Quelle adottate oggi dal Governo, sono misure che fanno ridere”, è sbottato Franco Denti. Mentre il dottor Garzoni si è espresso con un laconico e per nulla entusiasta: “Speriamo che basti…”. Accenti diversi, stessa sostanza.
I medici, vale la pena precisarlo, non chiedevano certo un lockdown, ma misure di contenimento sovrapponibili a quelle adottate in Svizzera francese e fuori dai confini: chiusura di bar e ristoranti, di cinema, teatri, musei, palestre e scuola a distanza per gli allievi dalle superiori in su. Fare tutto ciò che è possibile per tenere separate, e in casa, le persone.
Il Consiglio di Stato, invece, per appiattire la curva del contagio, vuole puntare ancora sui comportamenti dei cittadini. O, più maliziosamente, ci si potrebbe azzardare a dire che scarica sulla responsabilità individuale la gestione della pandemia, che invece è di sua competenza. Addirittura siamo arrivati “all’ultima chiamata”, una sorta di bonaria ammonizione paternalista “altrimenti chiudiamo per davvero”. Il tutto accompagnato da mezze misure che lasciano spazio a mille interpretazioni e al buon cuore di ognuno. Ci auguriamo che basti, per dirla con Garzoni, e che la settimana di vacanza dei morti porti un po’ di respiro e buoni numeri nei prossimi dieci giorni. Ma il dubbio che siamo ancora ai tentativi resta, ed è frustrante.
È dire che sarebbe tutto più semplice, soprattutto facendo tesoro dell’esperienza primaverile. Non c’è più la necessità e la giustificazione di procedere a tentoni contro il nemico sconosciuto. Anziché le ramanzine, i moniti e gli ultimatum, servirebbero i dati, i parametri, la consapevolezza. Banalmente, una strategia. Decine di studi internazionali indicano ormai con chiarezza ciò che occorre fare, a dipendenza della piega che prende la curva del contagio. Quali misure hanno un impatto significativo sull'RT e quali no. Non c’è da inventare nulla. Comanda il virus, e su questo non c’è dubbio, ma noi possiamo anticiparlo o inseguirlo. E in Ticino sembra sempre che gli andiamo appresso…
C’è molta confusione nei cittadini e l’azione e la comunicazione del Governo rischiano di alimentare questo caos. Una conferenza dietro l’altra, spesso con contenuti vaghi e con misure minime che si potrebbero annunciare attraverso una semplice nota (vedi obbligo di mascherina alle scuole medie). Un messaggio da allarme rosso - l’intervento di Raffaele De Rosa era da brividi - che però non trova coerenza e riscontro in provvedimenti all’acqua di rosa. L’incapacità di fissare con chiarezza i paletti del percorso che dobbiamo percorrere.
Non crediamo che il Governo adotti l’attuale impostazione per mancanza di coraggio. A nostro avviso l’agire dell’Esecutivo si spiega con opinioni profondamente diverse nella lettura della crisi da parte dei singoli ministri. Pareri discordanti che ritroviamo anche nel dibattito pubblico, sia esso politico, giornalistico o scientifico. Da questo punto di vista si può comprendere e apprezzare lo sforzo dei nostri governanti di cercare un compromesso per tenere unite le varie sensibilità del Paese. Ma un compromesso è buono solo se si rivela utile, altrimenti è un buco nell’acqua, un nulla di fatto, altro tempo sprecato.
Per questo motivo ribadiamo con forza una proposta: occorre un piano d’azione che fissi criteri sanitari certi, trasparenti e comprensibili, superati i quali entrino in vigore automaticamente provvedimenti già predefiniti. Siamo convinti che su questa strategia e sull’obbiettivo comune (proteggere gli ospedali) sia possibile far convergere la stragrande maggioranza dei ticinesi. E questo contribuirebbe all’unità del Cantone e alla serenità del sistema sanitario.
Per contro non auspichiamo, come invece desidera il Consiglio di Stato, che il Consiglio Federale decreti di nuovo la “situazione straordinaria” in modo da uniformare le misure su tutto il territorio svizzero. Una mossa che suona come “Berna, pensaci tu” perché non vogliamo o non sappiamo decidere da soli. A noi non dispiace affatto - fintanto che i dati nazionali lo consentono - una gestione regionale della crisi, con provvedimenti più severi dove la pandemia colpisce più duramente, e misure più soft nei Cantoni con una curva sotto controllo.
Non siamo neppure entusiasti dell’idea che lo Stato maggiore di condotta sia stato pre-allertato per rientrare in scena, se questo significa tornare a una gestione della crisi esclusivamente a guida governativa. A questo ipotesi preferiremmo un coinvolgimento del Gran Consiglio, che finora è rimasto spettatore in tribuna (soprattutto per colpa sua). Più Parlamento e meno Stato maggiore, insomma.
I deputati, però, se come sembra nella sessione che si apre oggi affronteranno una discussione generale sulla pandemia, dimostrino di essere all’altezza del compito. Portino idee, facciano critiche costruttive, arricchiscano il dibattito con esperienze e punti di vista differenti per aiutare il Governo a fare di più e meglio. Lo facciano però con serietà, con cognizione di causa, basandosi sui numeri, senza slogan vuoti o discorsi da bar. E tenendo a mente che tutto ciò che si può dire o proporre deve sempre fare i conti con un problema che non è possibile schivare: proteggere gli ospedali dal collasso.