Il divieto di caccia al volatile sarà al centro settimana prossima di un vertice della Federazione, a pochi giorni dall'apertura della stagione venatoria
BELLINZONA - Il divieto di cacciare la pernice bianca in Ticino scatenerà una battaglia politica? I cacciatori sono sul piede di guerra a causa della decisione, giudicata improvvisa e improvvisata, del ministro Claudio Zali di introdurre la moratoria già dalla quest’anno. A pochi giorni dall’apertura della stagione venatoria gli animi si stanno scaldando e settimana prossima il caso sarà discusso in un vertice dei presidenti delle associazioni regionali dei cacciatori.
Il ‘caso pernice bianca’ è scoppiato nelle scorse settimane.
“Consideriamola una misura urgente – ha detto Zali, motivando il divieto -. Se avessimo avviato un processo di discussione, i cacciatori avrebbero dovuto parlare con la loro base, e sarebbe passato un altro anno. Sarebbe stato peccato per una specie che credo sia il simbolo di chi soffre per il cambiamento climatico. Qualcosa, nell’opinione del Dipartimento, andava fatto”.
La pernice bianca è una specie inserita nella lista delle prede di “caccia bassa”, anche se vive ad alte quote. Il presidente del WWF, Massimo Mobiglia, ha ricordato che questo volatile è inserito nella “Lista rossa degli uccelli nidificanti minacciati in Svizzera”.
Da anni, ha aggiunto, “le Associazioni di protezione della natura chiedevano una maggiore tutela di questa specie, motivata dai dati allarmanti sul calo della popolazione, non solo in Ticino ma in tutto l’Arco alpino. La Pernice bianca è una specie simbolo delle Alpi in quanto adatta a sopravvivere in condizioni estreme. Purtroppo, il riscaldamento del clima – che nelle Alpi ha già raggiunto +2° centigradi – le sta riducendo fortemente l’estensione dell’habitat. Nei prossimi decenni la situazione si farà ancora più critica in quanto le temperature aumenteranno ulteriormente.
In attesa di tempi migliori, pretendere di continuare a prelevare individui di Pernice bianca ad ogni costo, anche a quello di estinguere totalmente la specie nelle Alpi, è insostenibile e irresponsabile”.
Ma i cacciatori ritengono la misura di protezione sproporzionata.
“La decisione del Consigliere di Stato Claudio Zali di imporre una moratoria sulla caccia alla pernice bianca già per la stagione venatoria 2019, senza coinvolgere né i rappresentanti dei cacciatori né i tecnici del proprio Dipartimento, non poteva che sollevare il proverbiale polverone – scrive il presidente, Fabio Regazzi, sul sito della Federazione replicando alle opinioni degli ambientalisti -. La reazione democratica ad un diktat politico senza precedenti, per lo meno in ambito venatorio, si concretizza soprattutto sui media dove molte sono state le prese di posizione. Alcune ponderate, altre meno sino a trovarne di decisamente grottesche”.
Lo scopo della caccia, spiega Regazzi, “era e rimane quello di gestire, tramite adeguato prelievo, la selvaggina nel suo complesso conservando la diversità delle specie. Non si parla infatti di caccia necessaria bensì di caccia sostenibile. E la caccia alla pernice bianca, come a tutta la selvaggina insidiata durante la caccia bassa in Ticino, è ampiamente sostenibile come dimostrano i dati dei censimenti e gli studi comparati con altri cantoni e con gli stati limitrofi con habitat analogo al nostro sia per conformazione territoriale sia per modalità di sfruttamento.
Un solo dato è eloquente. Sul confine con il Ticino, e più precisamente in Grigioni, è possibile cacciare le stesse pernici con una pressione venatoria cinque volte superiore a quella permessa in Ticino senza intaccarne gli effettivi. Le possibilità sono due o il riscaldamento globale si sta accanendo sulle alpi ticinesi oppure gli studi effettuati sull’intero arco alpino sugli effettivi di pernice bianca sono errati”.
Sono i cacciatori, e non certo le associazioni ambientaliste, aggiunge il presidente della Federazione, “ad effettuare gli unici censimenti in particolare dei tetraonidi sul nostro territorio, a tenere monitorate le specie anche in relazione ad eventuali malattie che, quelle si, potrebbero metterne in pericolo la specie, che la maggior parte degli interventi habitat effettuati dalle società di caccia sono diretti proprio verso la selvaggina di caccia bassa anche in zone di bandita e che se attualmente qualche turista sente il rogolio di un gallo forcello nei pressi di un battuto sentiero di montagna è anche merito dei cacciatori.
Quindi se discussione dovrà esserci che sia impostata su presupposti seri e basi scientifiche condivise secondo una procedura di consultazione tramite gruppi di lavoro come lo è stata la decisione di introdurre un numero massimo di catture per la beccaccia. E questo senza evocare ottocentesche paure e spauracchi di pericoli d’estinzione paragonando la situazione attuale a quanto accaduto all’aquila o al gipeto”.
I cacciatori, conclude, “non si sottraggono al dialogo e lo hanno ampiamente dimostrato ma pretendono di essere riconosciuti come parte integrante di una più ampia cultura alpina che va preservata e non sono disposti a farsi relegare a mero braccio armato di uno Stato che ha deciso di imporre le sue regole senza contraddittorio”.