Il presidente del Centro: "Che venga fatta al più presto chiarezza, su quanto è successo ma anche sulle responsabilità, sulla tempestività e sulle eventuali mancanze di chi eventualmente poteva e doveva agire prima”
Il presidente del Centro, Fiorenzo Dadò, da anni in prima linea nella lotta alla pedofilia, commenta sul suo profilo Facebook l’arresto di don Rolando Leo, avvenuto mercoledì scorso con l’accusa di atti sessuali con fanciulli, coazione sessuale, atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere e pornografia. Don Leo, scrive il Corriere del Ticino, è stato trasferito al carcere giudiziario della Farera dove potrebbe rimanere almeno per i prossimi due mesi.
L’arresto è giunto al termine di un’inchiesta durata alcuni mesi. La prima segnalazione al Ministero pubblico, fatta dall’amministratore apostolico della diocesi di Lugano, monsignor Alain de Raemy, risale infatti a marzo, quando il prelato era stato informato dei presunti abusi direttamente dalla presunta vittima.
Quest’ultima, ormai maggiorenne, aveva raccontato al vescovo di aver subito attenzioni improprie negli anni precedenti, quindi in età minore, e aveva confermato la volontà di far emergere la vicenda proprio per raccogliere l’appello lanciato dallo stesso de Raemy dopo la pubblicazione del rapporto sugli abusi in ambito religioso redatto dall’Università di Zurigo.
Il fermo del sacerdote è avvenuto mercoledì all’alba al Collegio Papio di Ascona. Don Rolando Leo era tornato la sera prima da un pellegrinaggio di una decina di giorni a Medjugorje, in Bosnia Erzegovina. Un viaggio, organizzato dalla Pastorale giovanile diocesana a cui aveva partecipato un folto gruppo di ragazzi. E ci si chiede per quale motivo, sapendo che la magistratura aveva aperto un’inchiesta sul sacerdote, la Curia ha lasciato che accompagnasse i giovani, molti dei quali minori, a Medjugorje.
Ma veniamo alle parole di Dadò: Incredulità generale – scrive -. È quello che si legge oggi sui giornali. Come nella gran parte degli abusi che vengono alla luce. Viviamo in una società malata. Non se ne può più di assistere impotenti a queste cose. Maestri, genitori, zii, nonni, parenti, preti. Questa piaga si annida ovunque, in tutti gli strati sociali, in tutte le culture.
Che venga fatta al più presto chiarezza, su quanto è successo ma anche sulle responsabilità, sulla tempestività e sulle eventuali mancanze di chi eventualmente poteva e doveva agire prima”.