IL FEDERALISTA
Mahsa Amini, la donna che svelò il fallimento di una rivoluzione
Sono passati due anni dalla scomparsa della giovane donna arrestata per porto inadeguato del velo e picchiata a morte dalla polizia morale di Teheran

di Claudio Mesoniat - Il Federalista.ch

Sulla scena internazionale l’Iran occupa le cronache in quanto padrino e manovratore del terrorismo islamista in tutto il Medioriente (Hezbollah, Hamas, Houthi, fazioni irachene) nonché fornitore alla Russia dei micidiali Fath-360, missili balistici a corto raggio con i quali Putin sta bombardando le città ucraine. Meno noti sono invece gli sviluppi della repressione che il regime sanguinario degli ayatollah continua a esercitare metodicamente all’interno del Paese. Ne riferiscono le ONG Iran Humam Rights (IHR), con base in Norvegia, Human Rights Watch (HRW) e Amnesty International.

Sono passati due anni dalla scomparsa di Mahsa Amini (16 settembre 2022), la giovane donna arrestata per porto inadeguato del velo e picchiata a morte dalla polizia morale di Teheran. La rivolta popolare che ne scaturì e che fece tremare il clero sciita e i suoi sgherri armati non si è spenta anche se si esprime oggi attraverso proteste più limitate e sporadiche.

Ma la pervasività e la crudeltà dei metodi repressivi –che non hanno nulla da invidiare alle grandi dittature ideologiche del ‘900- segnalano la paura e la solitudine sperimentate dai “guardiani” di una rivoluzione che dopo 45 anni di potere si regge ormai solo su terrore e corruzione.

Quali metodi repressivi? A illustrarli non è soltanto la contabilità delle esecuzioni capitali: secondo IHR, tra gennaio e agosto di quest’anno 402 persone sono state giustiziate nella Repubblica islamica (nei primi mesi di proteste dopo la morte di Mahsa Amini erano state 551 le persone uccise, e migliaia quelle arrestate). L’ultimo è stato Gholamreza Rasei, 34 anni, impiccato nel corso del mese di agosto, appena qualche giorno dopo l’entrata in carica del “riformista” Massoud Pezeshkian quale nuovo presidente dell’Iran (ne parliamo più avanti).

Doppiamente brutalizzati

A documentare la brutalità del regime si aggiungono le persecuzioni esercitate dalle autorità iraniane sulle persone vicine a coloro che sono stati uccisi o arrestati durante le manifestazioni. Minacce, molestie, arresti sulla base di false accuse, un accanimento verso i famigliari che chiedono notizie dei loro cari. Le stesse esecuzioni si moltiplicano, a scopo dissuasivo, anche per altri generi di infrazioni.

Un esempio di questa doppia persecuzione: lo scorso mese di agosto Mashallah Karami, padre di un giovane di 22 anni (Mohammed Mehdi) impiccato nel gennaio del 2023 per aver partecipato a manifestazioni di protesta, è stato condannato a nove anni di prigione perché reo di aver condotto una campagna per salvare la vita del figlio.

L’accanimento degli ayatollah per far rispettare la regola del porto obbligatorio dell’hijab si è frattanto inasprito a detta di Amnesty, che rileva “un visibile aumento delle pattuglie di poliziotti che a piedi, sulle motociclette o in auto e furgoni presidiano gli spazi pubblici”. Anche all’interno dei loro veicoli privati, dove finora potevano disporre liberamente del proprio abbigliamento, le donne vengono “spiate”, spesso tramite metodi tecnologici di riconoscimento, e punite e schiaffeggiate in nome della “cultura di castità e dell’hijab”.

Quando si saldano gli scenari della guerra a pezzi

Frattanto si acuisce la crisi economica che ha notoriamente impoverito la popolazione iraniana. Tra le cause che l’hanno scatenata giocano un peso indubbio le sanzioni economiche applicate dagli Stati Uniti dopo il fallimento delle trattative sul programma nucleare iraniano, interrotte sotto la presidenza di Donald Trump. Sanzioni finora confermate dal successore Biden.

Molti osservatori hanno interpretato la recente elezione alla presidenza iraniana della “colomba” Masoud Pezeshkian (che ha promesso di tendere “la mano dell’amicizia a tutti”) come un messaggio all’Occidente inteso a significare che Teheran non vuole la guerra in Medioriente e vuole rilanciare i colloqui sul nucleare. Tuttavia, dopo che gli Stati Uniti hanno rivelato che l'Iran ha consegnato missili balistici alla Russia, è la stessa Unione europea a minacciare ulteriori sanzioni contro Teheran.

Uno scenario di micidiale complessità, dove il nodo della pace a Gaza e con il Libano si intreccia alla crisi economica e politica iraniana, all’enigma della guerra di Putin in Ucraina e, in ultima istanza, all’esito delle imminenti elezioni americane, nella consapevolezza che il ritorno al potere di Trump potrebbe significare per Teheran–stando alle promesse del Tycoon- l’instaurazione delle sanzioni economiche “più dure della storia”.

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