ANALISI
Cinque punti chiave per il futuro dell'aeroporto. Ma Lugano deve tornare ad essere la Città del sì
È proprio nei momenti in cui il presente è più nero che bisogna pensare al futuro. E bisogna farlo con coraggio, con fiducia, sfidando apertamente il disfattismo

di Andrea Leoni

Voglio bene a Lugano e le sono grato. Pur non essendo luganese in Città ho trovato amicizie, lavoro, esperienze di vita.

In questi anni complessi, segnati da oggettive difficoltà che hanno limitato lo spazio d’azione di chi governa, ho osservato Lugano sviluppare un dinamismo straordinario nella cronaca di tutti i giorni. Non si contano le iniziative pubbliche volte ad animare e a migliorare la società luganese. Da questo punto di vista è una Città vera, confrontata come molte altre Città con mutamenti politici, economici e tecnologici spesso feroci, che mandano in crisi interi settori (vedi via Nassa e la piazza finanziaria, due facce della stessa medaglia).

Ma se la cronaca è vivace, piena di stimoli e di occasioni, più depressa è la visione della Lugano di domani: i progetti che gli attuali amministratori lasceranno alle future generazioni. Non vi sono ancora cantieri aperti sulle grandi infrastrutture di cui la Città ha assolutamente bisogno. Lo stadio e il palazzetto sportivo, un polo congressuale come Dio comanda, un centro moderno, a misura di pedone. L’ultima grande opera è stata il LAC.

Una fotografia che, mi pare di capire da forestiero, pesa sull’umore dei luganesi che hanno bisogno di vedere qualche modina sul territorio per sognare qualcosa di cui potranno godere. Li fa star bene. Credo che quest’assenza sia solo in parte, forse in buona parte, dovuta alle difficoltà citate poc’anzi. Accanto alle peripezie vi è anche una filosofia troppo ingessata, troppo prudente, quasi pessimista a volte. Ma questa forma mentis non è nella natura della Città. La Lugano del “no” o del “sa po mia” deve tornare ad essere la Lugano del sì.

Cinque punti per l'aeroporto 

In questo contesto si inserisce come un totem diabolico la crisi nera dell’aeroporto. Una spirale apparentemente senza fine in cui la cronaca, stavolta negativa, si sta sbranando il futuro. Al netto degli errori, anche gravi, commessi negli anni, occorre quindi fermarsi e ripartire dai fondamentali. 

Non siamo i figli di nessuno

Il primo punto è che, come ticinesi, non possiamo accettare di essere l’unica regione della Svizzera, per di più con in mezzo le Alpi, a non avere un collegamento aereo con il resto del Paese, con Zurigo e con Ginevra, manco fossimo i figli di nessuno. Alptransit è una valida alternativa, come del resto lo è la strada, ma una sana viabilità si basa per l’appunto sulla possibilità di scelta tra diversi vettori.

LASA promuova una compagnia aerea 

Il secondo punto riguarda il servizio. Penso che in pochi avrebbero dei dubbi a fare gli investimenti di cui necessita l’aeroporto, se fosse garantito che gli aerei partano e arrivino. La storia ci ha insegnato che affidare il futuro a piccole compagnie dal presente sempre incerto, o di cui non frega nulla del Ticino, vedi Swiss, è come andare a giocare al casinò. Dura finché dura, quando dura. La soluzione non può che essere quella di costruire una mini compagnia aerea, con capitale misto pubblico-privato, per garantire i collegamenti giornalieri con Zurigo e con Ginevra. E poi si vedrà. LASA, che sta già pensando da tempo a questa opzione, rompa gli indugi e ci punti forte e in fretta. Si cominci a riunire attorno al tavolo tutti quei potenziali investitori privati, a cominciare dalle organizzazioni economiche, che a parole si sono sempre schierate con l’aeroporto. È tempo di cacciare un po’ di grano. E che sia un progetto ticinese, in grado di restituire una dimensione cantonale, e non solo cittadina, allo scalo di Agno. 

La difesa dei posti di lavoro 

I posti di lavoro sono il terzo punto. Laddove l’Ente pubblico ha la possibilità d’intervenire, è imperativo per un Cantone socialmente in ebollizione come il nostro difendere gli impieghi con le unghie e con i denti. Lo abbiamo fatto, giustamente, con le Officine (con un investimento di 120 milioni), con la navigazione, e cento altre volte. Occorre farlo anche per le 300 persone che lavorano all’aeroporto. Famiglie per le quali si stanno battendo i sindacati UNIA e OCST. Senza sottacere un indotto economico di 200 milioni di franchi. Siamo nella posizione di poterne a fare a meno?

Un investimento come tanti altri 

I soldi pubblici per sostenere l’aeroporto, e siamo al quarto punto, sono un problema soltanto nella misura in cui non vi è una prospettiva (denaro buttato via), proprio per questo occorre alla svelta costruire una soluzione credibile sul servizio. Altrimenti sono un falso problema. Ogni anno investiamo milioni e milioni nelle strade, nei bus, nei treni, nei battelli, non si capisce il motivo per il quale non si debba investire anche nell’aeroporto. A titolo di esempio si può citare il fatto che l’ente pubblico, a Basilea, ha investito nel tempo la bellezza di 600 milioni di franchi a favore del suo scalo. Oltre a ciò le imposte dei ticinesi vengono utilizzate anche in altre attività. Esempi a random: a 5,4 milioni ammonta l’ultimo credito quadro per gli impianti di risalita; a 3,8 milioni quello per il restyling delle Isole di Brissago, 10 milioni sono invece stati investiti per il rilancio del Monte Verità, 17 milioni per la nuova Valascia. E sorvoliamo sui vari crediti stanziati negli anni per il sacrosanto collegamento autostradale del Locarnese. Per restare a Lugano la gestione del LAC pesa sul contribuente almeno sette milioni (ammortamento sullo stabile escluso). Ogni anno. Tutto questo per dire che i soldi necessari per ricapitalizzare e rilanciare l’aeroporto (una dozzina di milioni su più anni) rientrano in questo target di spesa, più che accettabile e sostenibile. Un ultimo dato: la metà dei circa 400 aeroporti europei è in deficit. Ciò dimostra come sia inevitabile il sostegno costante dell’ente pubblico a favore di queste infrastrutture.

Pensiamo al futuro
 
Il quinto e ultimo punto è filosofico. Nell’ora più buia è semplice, molto semplice, risolvere un problema scegliendo la strada della chiusura. Ma quando si chiude un’infrastruttura nell’ambito della mobilità, per un territorio è come un infarto: muore un pezzo del suo cuore e non rinasce più. È proprio nei momenti in cui il presente è più nero, invece, che bisogna pensare al futuro. E bisogna farlo con coraggio, con fiducia, sfidando apertamente il disfattismo. Un giorno il nostro Cantone e Lugano saranno diverse. Torneremo protagonisti, si spera, in ambiti di punta come la ricerca e la tecnologia. Avremo le infrastrutture che oggi non ci sono e che potranno ulteriormente stimolare la domanda di mobilità. Ritrovarsi nel futuro senza un pezzo, per le difficoltà del presente, sarebbe folle. Non precludiamoci questa opportunità perché oggi le cose vanno male.   

 
Coraggio Lugano, torna a dire sì e riprenditi il futuro.

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