Guardiamo, per favore, a quello che accade fuori da casa nostra. Come l’Italia ora sta guardando alla Cina. Abbandoniamo ogni presunzione verso questo virus. E facciamo subito quello che dobbiamo fare
di Andrea Leoni
Agiamo subito o non avremo scuse. Se malauguratamente l’epidemia di Coronavirus ci scoppierà in mano in Ticino, mandando a capocchia il nostro sistema sanitario, non ci saranno giustificazioni: sarà stata solo colpa nostra.
Di chi doveva guardare e ha chiuso gli occhi. Di chi si è tappato le orecchie, ignorando il grido incessante dei fatti. Di chi ha minimizzato, di chi ha negato l’evidenza, di chi per rispetto istituzionale ha deposto lo spirito critico, di chi ha diffuso un infondato ottimismo anziché assecondare un allarme, di chi ha taciuto per mancanza di coraggio, di chi se n’è sbattuto altamente della responsabilità individuale e delle regole di comportamento sociali. Di chi poteva decidere e non lo ha fatto. Di chi ha perso tempo.
Pochissime Cassandre in questo Cantone (una su tutte: Franco Denti) hanno avuto la forza di strillare “Troia brucia, Troia brucia!", di rompere la coltre ipocrita e negazionista che ha ammantato questo Cantone dall’inizio della crisi. Si è scambiata la parola del Governo per parola del Signore: un tragico errore per qualunque democrazia. Si è creduto che manifestare unità, compattezza e fiducia acritica verso le nostre istituzioni, fosse più importante che raccontare quanto stava realmente accadendo. Un racconto che smentiva giorno dopo giorno la narrazione ticinese.
Abbiamo sbagliato, per giorni, noi per primi. Siamo stati troppo timidi, schiacciati dal timore d’esser accusati di fare terrorismo mediatico e dalla riverenza istituzionale imperante. Poi sabato mattina non ce l’abbiamo più fatta è abbiamo scritto “Il momento di dirci in faccia la verità”. Un pezzo da decine di migliaia di click, dove emergeva ancora chiara, in una parte importante dei lettori, la negazione della realtà, l’accusa di fomentare l’allarmismo. Un pezzo nato dopo decine di telefonate con operatori sanitari ticinesi che ci chiedevano di fare il nostro mestiere: dire alla gente come stanno realmente le cose.
Un’accusa, quella di fomentare allarmismo, che per giorni è stata rivolta sui social anche ai colleghi di Teleticino, e ad altri giornalisti, che hanno prodotto ore ed ore di dirette quotidiane per tenere informata la popolazione e a veicolare l’unico messaggio importante: state a casa. Ora tutti si rendono conto che quello che veniva bollato come “terrorismo mediatico” era solo servizio pubblico.
L’accusa di allarmismo, va detto a chiare lettere, trova il suo brodo di coltura in una domanda: se il Consiglio di Stato prende mezze misure, perché mai dovrei preoccuparmi? Infatti, anche l’ultimo weekend è trascorso come se nulla fudesse per una parte significativa di ticinesi. Tutti in giro, o peggio, tutti in Italia a fare la spesa o a bere l’aperò sul lungolago di Como o ai navigli a Milano.
Poi fortunatamente il Governo italiano ha spaventato l’Europa “chiudendo” prima la Lombardia e poi l’Italia. E la Confederazione, decidendo di dare comunque libero accesso a tutti e 70’000 frontalieri, ci ha trasformati nella tredicesima provincia lombarda, in una zona del più grande focolaio di Coronavirus del mondo occidentale. Queste decisioni hanno finalmente svegliato la maggioranza dei ticinesi.
Dobbiamo quindi essere maggiormente grati al Governo Conte che alle nostre autorità, se oggi in Ticino si ha finalmente consapevolezza del problema e di ciò che ognuno di noi deve fare per combatterlo.
C’è da augurarsi che questa consapevolezza arrivi finalmente anche nella sala del Consiglio di Stato. Dopo le parole del dottor Christian Garzoni di ieri a proposito dei frontalieri come fattore di rischio per la popolazione ticinese. Non è più sufficiente per il nostro Governo affermare che la decisione sulle frontiere spetta a Berna. Noi, come molti ticinesi, desideriamo sapere se i nostri Consiglieri di Stato sono d’accordo o sono contrari ai confini spalancati. E se intendono opporsi, per ragioni di tutela della salute pubblica, alla decisione della Confederazione.
Noi, come molti ticinesi, vogliamo sapere se il Governo intende finalmente chiudere tutte le scuole in Ticino, come reclama da settimane il presidente dell’Ordine dei medici Franco Denti, il dottor Frédéric Lelais e oggi, sul Corriere del Ticino, anche il Professor Cerny.
Noi, come molti ticinesi, desideriamo sapere se il Governo è pronto finalmente ad assumersi la responsabilità di adottare le scelte che s’impongono - con cinema, palestre, spa, discoteche, etc - abbandonando la strategia fallace delle misure a singhiozzo, proporzionate alla crescita dei casi.
Guardiamo, per favore, a quello che accade fuori da casa nostra. Come l’Italia ora sta guardando alla Cina. Abbandoniamo ogni presunzione verso questo virus, in primis quello di sentirci migliori degli altri.
Come ha scritto ieri sul Corriere della Sera il fisico e scritto Paolo Giordano: “Siamo sempre stati in ritardo, fin da quando abbiamo saputo del primo focolaio nell’Hubei. Nulla è precipitato inaspettatamente da allora e, se ci sembra così, si tratta solo di un’altra falsa percezione: siamo stati dentro l’evolversi consequenziale e prevedibile dell’epidemia. Le misure imposte nelle zone rosse dovrebbero essere seguite anche fuori, da tutti, alla lettera e a partire da adesso, anzi da ieri. L’evoluzione, altrimenti, sarà la medesima. Nel diffondersi di un contagio, le misure di contenimento reattive sono molto meno efficaci di quelle preventive”.
Facciamo quello che dobbiamo fare, facciamolo subito. O non avremo scuse.