SECONDO ME
Don Feliciani: "Non chiamiamolo ateismo..."
"La vera domanda non è: credi o non credi in Dio? Ma: credi o non credi nell’Uomo?"
TiPress/Francesca Agosta

Di Don Gianfranco Feliciani *

Ho letto con interesse l’editoriale di Paride Pelli dal titolo “Sempre più atei, salvo miracoli”, apparso sul “Corriere del Ticino” qualche giorno fa. Le statistiche parlano chiaro: la grave crisi religiosa in atto nel nostro Paese porterà “a una Confederazione non tanto pluriconfessionale quanto inesorabilmente atea”. Qui però una domanda si impone? Cosa si intende per “ateo”? La negazione di Dio? D’accordo. Ma una negazione suppone sempre una riflessione seria e onesta, suppone una dialettica, un confronto, anche uno scontro. Tutto questo però è positivo, è una ricchezza per tutti. Come non ricordare al riguardo la “Cattedra dei non credenti” del cardinale Martini di Milano? Ai relatori invitati diceva sempre: “Io non vi chiedo se siete credenti o atei. Ma vi chiedo se siete persone pensanti o non pensanti”.

Sulla questione dell’ateismo si è chinato spesso un indimenticabile poeta-profeta del nostro tempo: padre David Maria Turoldo. Con quel suo tipico modo di fare provocatorio amava ripetere questo gioco di parole: “Un conto è credere di credere, e un conto è credere di non credere; il vero problema è… ma in quale Dio?”. Quindi, ben venga l’incontro e il confronto fra atei e credenti. Ciò che è essenziale è che tutti siano uomini e donne pensanti, tutti capaci di ascoltare l’altro e di mettersi in discussione. Chiediamoci allora: è questo oggi il clima religioso-culturale del nostro Paese? Quello di un dialogo aperto? Direi proprio di no. Non chiamiamolo quindi ateismo, ma piuttosto disinteresse, indifferenza, disamore, incapacità di pensare. Il fenomeno diventa allora prettamente psicologico… Psicoanalisti del calibro di Umberto Galimberti (non credente), attenti ai nuovi comportamenti, hanno riscontrato un sintomatico rapporto tra il regresso della religiosità e il dilagare delle nevrosi caratteristiche del nostro tempo: smarrimento, solitudine, noia, depressione, incapacità di dare un significato alla propria esistenza. Alla fine, la vera posta in gioco rimbalza dal divino all’umano, dalla teologia all’antropologia. La vera domanda non è: credi o non credi in Dio? Ma: credi o non credi nell’Uomo? “Dimmi che uomo sei e ti dirò se credi in Dio”, dicevano già gli antichi Padri della Chiesa. Non credere più nella bontà umana, non nutrire più speranza per il futuro, cedere alla sfiducia e al pessimismo, vivere ignorandosi l’un l’altro: questo è l’ateismo del nostro tempo con il quale siamo chiamati a confrontarci. Non riguarda la negazione di Dio, ma la negazione dell’Uomo!

* parroco di Chiasso

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