CRONACA
Sculture a Lugano dopo la 'Croce della discordia', Dalmazio Ambrosioni: "Chi decide in Città e in base a quali criteri?"
Il giornalista sulla mostra dell'artista Helidon Xhixha: "Se tutti i pareri chiesti dal Municipio sono stati negativi, perché non sono stati ascoltati?"
© Ti-Press / Alessandro Crinari
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* di Dalmazio Ambrosioni (articolo pubblicato su https://www.osservatore.ch)

LUGANO – Al di là (per il momento) di ogni discorso sulla qualità delle opere di Helidon Xhixha, che da un mese spuntano a Lugano – dal sagrato della chiesa degli Angioli al Lungolago, dallo spazio esterno al Palazzo dei congressi al Parco Ciani, dove una doppia opera fa capolino dal lago - s’impone la riflessione sull’utilizzo dello spazio pubblico cittadino per l’esposizione di opere d’arte. In sostanza: chi decide, e in base a quali criteri?

La domanda non è inutile nella Lugano che lodevolmente ha creato il MASI, Museo della Svizzera Italiana, e vuole proporsi come «città della cultura» avendo nel mirino realtà riuscitissime come Basilea o Zurigo. La domanda non è inutile perché da sempre il MASI (prima con Marco Franciolli e adesso Tobia Bezzola) sta mettendo a fuoco un proprio profilo sul piano dell’arte, anche nella collaborazione tra pubblico e privato, come conferma la recente donazione al Museo di 87 opere della Collezione Olgiati.

Celermente, mostra dopo mostra, sta acquisendo una propria identità svizzeroitaliana, svizzera e internazionale, anche istituendo contatti e sinergie con i maggiori musei svizzeri. Ne discende che, se opere d’arte ci devono essere nel tessuto urbano (e ben vengano), devono corrispondere a questo modello ed essere espressione esterna, urbana, di quanto va producendo e macinando il MASI. Tanto più che in questo campo la città ha saputo intelligentemente dotarsi di personalità di competenza riconosciuta a livello internazionale: Tobia Bezzola al MASI, Luigi Di Corato ai Servizi culturali della Città.

L’esposizione urbana di opere di Helidon Xhixha non ha seguito questo logico itinerario, ma è frutto di un’iniziativa privata. Significa che dei mecenati hanno deciso motu proprio di proporre queste opere, di regalare quest’esposizione alla città per alcuni mesi, sino ad ottobre. Hanno chiesto il permesso al Municipio, l’hanno avuto. Anche perché – risponde il Municipio - «hanno pagato tutto loro». Risulta che, correttamente, il Municipio aveva richiesto il parere del direttore del MASI e del dir. dei Servizi culturali, al tempo Lorenzo Sganzini, oltre che di altre personalità della cultura artistica di Lugano, ricevendo unanimi pareri negativi. Di cui evidentemente non s’è tenuto conto.

Al di là della simpatia o meno delle sculture in città, è evidente in questa discrepante decisione del Municipio il rischio di sconfessare o comunque sminuire non solo i propri direttori, ma anche la linea da loro scelta e sicuramente approvata di principio dal Municipio stesso. E di creare una sorta di doppio binario nell’immagine della città sul versante artistico della politica culturale.

Non è il caso di infierire schiacciando il giovane Xhixha sotto il peso dei Giacometti, Segantini (il meraviglioso Trittico della vita) e Hodler al MASI, ma sicuramente di chiedersi se non sia il caso per la città di dotarsi di un regolamento per l’utilizzo del suolo pubblico a fini d’arte, delegandone le decisioni alle personalità che lui stesso ha scelto affidando loro non solo la sorte del Museo ma anche l’immagine cittadina sul versante artistico.

*Giornalista – Articolo tratto da "L'Osservatore"

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