La tesi della procuratrice di Verbania dopo il fermo di tre persone, tra le quali il gerente della funivia
STRESA – Pazzesco… C’è una verità che ha dell’incredibile dietro la sciagura del Mottarone, che domenica ha causato la morte di 14 persone. La verità, che tale si può considerare in quanto fondata sulle prime ammissioni dei responsabili dell’impianto, l’ha raccontata la procuratrice capo di Verbania, Olimpia Bossi, dopo aver ordinato il fermo del gestore, Luigi Nerini, del direttore del servizio e di un dipendente.
Secondo il magistrato, che ha comunque usato il condizionale, a monte della tragedia c’è un comportamento ''consapevole e sconcertante'' adottato per motivi economici: i tre fermati avrebbero avuto consapevolezza del malfunzionamento dell'impianto frenante, e per ''evitare continui disservizi e blocchi'' hanno messo a rischio per settimane l’incolumità dei passeggeri.
In buona sostanza, il freno d'emergenza della funivia Stresa-Mottarone non ha funzionato perché era stato inserito l'ormai famigerato "forchettone". L’anomalia riscontrata sulla cabina avrebbe richiesto un intervento più radicale e un blocco dell'impianto. Ma per ovviare allo stop, che avrebbe comportato la perdita di soldi, i tre avrebbero deciso di ''manomettere il sistema di sicurezza'', cioè di inserire il forchettone, che ha impedito alla cabinovia di restare sospesa e l'ha lasciata precipitare nel vuoto per una ventina di metri.
Contro i tre fermati, ha spiegato la procuratrice Bossi, c'è un quadro "fortemente indiziario": "Abbiamo potuto accertare dai reperti analizzati in questi due giorni e in particolare dall'analisi dei reperti fotografici che la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso, cioè non era stato rimosso o meglio era stato apposto il forchettone che tiene distanti le ganasce dei freni".
Così, convinti che mai il cavo non si si sarebbe mai tranciato, i tre fermati hanno corso il rischio di provocare una tragedia, sebbene le anomalie del sistema fossero state "segnalate più volte". Tra gli ultimi interventi c'è quello del 3 maggio scorso, ma almeno un'altra richiesta di intervento sarebbe stata ignorata, insomma la cabina sarebbe stata a rischio per più giorni o settimane.
I fermati devono ora rispondere di "rimozione od omissione dolosa di cautele" previsto dell'articolo 437 del codice penale che punisce chi "omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia". Ipotesi aggravata "se dal fatto deriva un disastro".