Dalla vicenda non ne esce bene neanche il PG Andrea Pagani. E ora la soluzione Armageddon...
di Andrea Leoni
Era l’11 di settembre quando la Regione sganciava la “notizia bomba”: cinque procuratori pubblici sono stati preavvisati negativamente per la rielezione dal Consiglio della Magistratura. Oggi, 30 novembre, la Commissione Giustizia del Gran Consiglio ha deciso di trasformare in coriandoli quel parere. 11 settembre e 30 novembre, in mezzo oltre due mesi di polemiche, ricorsi, audizioni, perizie, comunicati ed sms che hanno catapultato la giustizia ticinese in una crisi senza precedenti.
La decisione odierna della maggioranza dei commissari, esclusi quelli del PLR che si sono chiamati fuori, era l’unica possibile, a meno di non volersi avventurare in inesplorati fuoripista costituzionali (la legge impone la nomina dell’organico del Ministero Pubblico entro la fine di quest’anno). Sono infatti stati troppi gli errori procedurali, gli strafalcioni istituzionali, i diritti costituzionali calpestati (modello Bielorussia di Lukashenko), i dinieghi di accesso agli atti, le intromissioni indebite e le manchevolezze, per sanare del tutto un pasticcio di proporzioni epiche. Un pasticcio partorito in seno alla giustizia e che la politica si è trovata suo malgrado a gestire, senza molte vie d’uscita. Ci ha messo una toppa, che non è un belvedere, ma comunque stavolta è meglio del buco.
La Commissione, innanzitutto, ha restituito l’onore ai cinque magistrati. Stracciando il preavviso del Consiglio della magistratura, ha cestinato anche i giudizi brutali, e in alcuni casi professionalmente infamanti, che erano stati espressi nei confronti degli interessati. È un gesto politico forte e onorevole da parte del Parlamento. Le parole istituzionali con cui viene accompagnata la decisione, non addolciscono la sonora bocciatura sull’operato del Consiglio della Magistratura, messo impietosamente dietro la lavagna dai Commissari.
Leggiamo: “Per quanto riguarda i cinque procuratori preavvisati negativamente, alla luce della documentazione ricevuta e degli approfondimenti eseguiti, non avendo riscontrato elementi sufficientemente solidi a sostegno di una non rielezione, vista in particolare l’assenza di precedenti avvertimenti formali o sanzioni disciplinari, ritenuto altresí che i dati statistici forniti non appaiono particolarmente dirimenti, la Commissione ritiene proponibile anche per tutti loro il rinnovo della carica”.
Una sconfessione su tutta la linea verso l’organo di vigilanza, incapace in oltre due mesi di portare carte e parole convincenti a sostegno della propria tesi. Non va infatti dimenticato che per ben due volte una delegazione del Consiglio della magistratura è stato ascoltato in Commissione, senza far breccia nei deputati. E in mezzo si sono aggiunti altri pasticci, tra statistiche errate e documenti trasmessi a spizzichi e bocconi, ricchi di virgolettati in libertà ma senza lo straccio di un solo verbale. Incredibile.
Lecito per il cittadino chiedersi quale autorevolezza conservi a questo punto un organismo cruciale per l’indipendenza della giustizia come il Consiglio della magistratura. E resta un mistero come un’istituzione formata da giudici, procuratori e avvocati abbia potuto inanellare una serie di strafalcioni sesquipedali, neanche avesse fatto la maratona sulle bucce di banana. Una leggerezza formale che lascia di stucco e che forse trova spiegazione in qualche afflato d’onnipotenza che deve aver soffiato ai piani alti della giustizia ticinese. L’idea, malsana, che colpendo duro, i cinque si sarebbero squagliati, ritirandosi in buon ordine. Ma questo è solo un cattivo pensiero.
Bene, da tutta questa storia, non ne esce neppure il Procuratore Generale, a cui sarebbero spettati quegli “avvertimenti formali” di cui non si è trovata traccia. Neppure lui è riuscito a convincere i Commissari che i cinque dovevano essere allontanati. Non un gran risultato per un capo della Procura insediatosi da due anni e che quindi dovrebbe godere di ampio credito verso l'autortità di nomina. A nostro avviso Andrea Pagani paga l’atteggiamento equivoco tenuto nell’intera vicenda. Prima trincerandosi dietro al silenzio, poi incartandosi nella vicenda degli sms con il giudice Mauro Ermani ed infine sostenendo sulla stampa e in Commissione la bocciatura dei suoi colleghi.
Eppure sarebbe bastato che il PG, come si conviene a un capo, avesse comunicato faccia a faccia ai colleghi il suo giudizio negativo sul loro operato, prima di farlo sulla stampa e davanti ai deputati. “Ragazzi, nulla di personale, ma a mio parere non dovete più far parte della squadra. Per questo e quest'altro motivo”. Parole di consuetudine nel mondo del lavoro. Sarebbe stato un atto di chiarezza, di responsabilità e di leadership che avrebbe disinnescato un sacco di questioni collaterali. Vedremo se il Gran Consiglio "perdonerà" Pagani o gli presenterà il conto durante la votazione in aula.
Infine, anche il Tribunale Penale cantonale, e il suo presidente Mauro Ermani, escono ammaccati dalla vicenda. Partirono per suonare e finirono suonati, sembra l’epilogo alla fine dell’esercizio. Francamente non ci ha mai convinto l’idea del giudice Re Sole in grado di dominare l’intero apparato giudiziario. Così come gli sms con Pagani ci sono sembrati più dei fumogeni che delle pietre dello scandalo, seppur rivelatori di un rapporto istituzionale improprio. A nostro avviso la vera pietra d’inciampo è stata l’esondazione del potere giudicante in quello inquirente, manifestatasi in questa procedura. Lo ripetiamo: un procuratore quando va in aula non deve temere che un giudice gli possa stroncare la carriera al momento della rielezione. In una democrazia che funziona i poteri devono essere bilanciati e contro-bilanciati anche all'interno di uno stesso Potere.
C’è la toppa ma il pasticcio è comunque servito. In aula andranno 27 candidati per 20 posti (i 19 uscenti più 8 aspiranti). È quella che noi abbiamo battezzato come la soluzione Armageddon. Nel senso che a questo punto vale tutto: a rischiare il posto sono anche i 15 procuratori preavvisati favorevolmente. Il mercato delle vacche è cominciato e i posti saranno assegnati attraverso un accordo di spartizione tra i partiti. Ognuno cercherà innanzitutto di salvare i "suoi". All’orizzonte si profila un asse PPD, PS e Lega. Il PLR, invece, sta facendo un gioco spericolato. Vedremo se alla fine avrà fatto bene i conti.
Ma nessuno si lamenti o s’indigni, perché altra soluzione a questo punto non c’era, volendo rispettare la legge. Il caos, per una volta, non l’ha creato la politica.