OLTRE L'ECONOMIA
Vino ticinese, come stai? "Adesso servirebbero sinergie territoriali"
Maran-Matasci della Matasci Fratelli SA: "dal boom degli anni '60 alle barriques, dalla concorrenza al turismo di qualità, storia di un'eccellenza"

TENERO - In quest’intervista con Paola Maran-Matasci dell’azienda Matasci Fratelli SA, Tenero, cerchiamo di capire meglio l’evoluzione del settore vitivinicolo in Ticino, sia dal punto di vista storico che quale esperienza aziendale. La Matasci Fratelli SA è un’azienda con anni di storia alle spalle, che ben testimonia il valore del fare impresa in modo sostenibile, legato al territorio.

Nel contesto economico ticinese, anche il settore vitivinicolo ha un peso determinante. Quale è la sua importanza nel contesto storico e come sta oggi?

"Premetto che l’azienda a conduzione familiare che oggi dirigo con mio marito e i miei cugini ha vissuto la storia del Merlot quasi dalle sue origini. Nel 1906 vi furono i primi impianti di barbatelle ma la coltivazione di questo vitigno si è sviluppata solo negli anni ‘50, mentre in precedenza si coltivavano altri uvaggi e il gusto del consumatore era orientato sul Barbera del Piemonte. Negli anni sessanta, con il periodo del boom turistico in Ticino, il Merlot ha iniziato ad essere apprezzato vieppiù dalla clientela d’Oltralpe, che ha di fatto aperto le porte alla sua commercializzazione in tutta la Svizzera tedesca. A partire dagli anni ottanta un gruppo di enologi ha cercato di dare una nuova impostazione alla vinificazione del Merlot con l’introduzione delle barriques secondo il metodo bordolese. Ciò ha dato un grande impulso alla ricerca sia in vigna che in cantina, e la qualità del prodotto ha raggiunto altissimi livelli, favorita in parte anche dal cambiamento climatico. Oggi il Merlot del Ticino gode di un’ottima reputazione grazie anche ai numerosi riconoscimenti ottenuti ai più importanti concorsi vinicoli, mentre la sua commercializzazione sta subendo una leggera ma preoccupante inversione di tendenza. Da una parte la concorrenza dei vini esteri che, a parità di qualità hanno prezzi più accessibili. Dall’altra il calo del consumo di vino in generale (si beve meglio ma meno), vuoi per l’ondata salutista, vuoi per l’introduzione di regole più severe in ambito di circolazione stradale, vuoi per una questione di mode. La soluzione per una ripresa potrebbe passare dalla consapevolezza di tutti gli attori del mondo enogastronomico, della necessità di armonizzare l’offerta privilegiando e coinvolgendo i produttori legati al territorio. Questa potrebbe anche essere la carta vincente per incrementare un turismo di qualità che va alla ricerca della tipicità del luogo e delle sue eccellenze. Non dimentichiamo che il turista non solo consuma il prodotto sul posto ma lo acquista e ne diventa portavoce a casa sua".

In che modo dare un valore aggiunto ad un prodotto tipico ticinese nel contesto internazionale? Quale la vostra esperienza?

"Per quanto concerne la nostra azienda, la quantità di vino che esportiamo è molto esigua, in linea credo con gli altri produttori, e ciò per due ragioni: da una parte siamo penalizzati dal rapporto franco-euro, dall’altra la realtà vinicola ticinese (ma anche Svizzera) è pressoché sconosciuta fuori dai nostri confini e il confronto con altri paesi tradizionalmente vocati richiederebbe un investimento a livello di immagine probabilmente sproporzionato in rapporto all’offerta. La superficie vitata in Ticino si trova spesso in zone edificabili, ciò che non ne favorisce l’estensione, ma piuttosto il contrario, quindi la produzione media di vino non aumenterà a breve termine. Detto questo, se ci fosse la necessità di esportare, in previsione di annate più abbondanti e di un ulteriore calo del consumo interno di vino, bisognerebbe farlo all’unisono con le altre regioni vinicole svizzere, rivolgendosi ad un consumatore di nicchia, curioso e appassionato, disposto a spendere per un prodotto che racchiude in sé l’immagine di un Paese considerato un concentrato di bellezza (grazie anche ai suoi vigneti)".

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