Chiacchierata a ruota libera con il candidato PLR al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio. “Adoro il mio Paese e quando c’è bisogno rispondo sempre presente. Ma mi annoiano il politichese, la cerimonialità spinta e la politica con il retrovisore”
Speziali, lei non è solo un politico emergente ma anche un cuoco appassionato, e chi la conosce lo sa… Ha mai pensato di scrivere un nuovo capitolo della sua vita e di aprire un ristorante?
Sì, è il mio sogno nel cassetto per quando compirò 50 anni. Mi occuperei di tutto, dal concepimento del menù alla scelta del cotone dei tovaglioli. Vivrei la sala, accogliendo i clienti e discutendo con loro di bollicine, prodotti slow food e politica fino a tarda ora. E la classica spaghettata notturna aglio-olio-peperoncino non potrà mancare.
Ma nell’attesa dei 50, ha deciso di dedicarsi alla politica…
A dire il vero ho un rapporto conflittuale con la politica. Adoro il mio Paese, ho studiato scienze politiche e quando c’è bisogno rispondo sempre presente. Ma mi annoiano moltissimo il politichese, la cerimonialità spinta, il pensiero mainstream e la politica con il retrovisore. Come non mi piacciono quei ristoranti francesi accasciati sugli allori. O quegli hotel fermi agli anni ’80, tra ottone graffiato e blazer bianchi sgualciti.
Però adesso è candidato al Consiglio di Stato, quindi l’entusiasmo non le può mancare...
E non manca! Mi sono buttato a capofitto in quest’avventura che mi piace moltissimo. Ascolto, studio, imparo e correggo anche il tiro. Nel partito da tempo rompo tabù nei temi legati al lavoro, all’immigrazione, alla cultura. Lungo questa strada molti mi seguono, altri dissentono. Ma se piacessi a tutti, significherebbe che sto sbagliando qualcosa.
Nei giorni scorsi l’abbiamo vista cimentarsi alle caldaie del risotto di carnevale di Solduno insieme ad altri volontari, tra cui il senatore Fabio Abate. Se avesse la possibilità di cucinare per un Consigliere di Stato chi inviterebbe a cena? E quali sarebbero i vostri argomenti di discussione?
Manuele Bertoli. Con persone intelligenti e schiette non ci si annoia. Gli chiederei dei retroscena della mancata riforma della scuola, del motivo per cui molti docenti erano silenziosi opponenti. E come mai nel dibattito sulla Scuola che (non) verrà erano così noti i cognomi dei funzionari che l’hanno scritta e blindata. Questo durante l’antipasto, magari con una tartare di gambero rosso e gin-tonic. Poi però a ruota libera parlerei di giovani, delle luci e ombre di questo cantone, servendo un risottino mantecato con büscion di Sonogno, pistacchi tostati e un po’ di scorza di limone (provate, dà un sacco di freschezza). Una cena senza filtri per raccogliere elementi utili per quando sarò al DECS (ride, ndr).
Da dove viene questa passione per la cucina?
Mi piace sedere a tavola e appena ho l’occasione organizzo interminabili pranzi con gli amici di sempre. La passione si è costruita negli anni e mi accorgo che c’è una chimica particolare che si crea. Dalle battute goliardiche ai momenti di riflessione più profondi e intimi. Forse perché mangiare e bere è un bisogno primario, forse perché siamo dei peccatori di gola seriali.
Bene, veniamo alla gastronomia: il Ticino come se la passa?
È capace del meglio come del peggio. Ma vale anche per la politica. Abbiamo la fortuna di vivere in un posto stupendo: se non lo onoriamo, gli manchiamo di rispetto. Mangiar bene non è un lusso, e dall’Italia possiamo imparare molto quando entriamo in osterie che non promettono nulla di buono, ma una volta entrati non vorremmo più uscirne. Abbiamo ristoranti stellati, grotti in cui mangerei tre volte al giorno e trattorie che grondano passione in quel che fanno. Ma abbiamo anche esercizi pubblici che andrebbero denunciati per vilipendio alla cucina. In un Cantone turistico, ogni piatto deve essere un gesto di affetto che cattura chi ci visita. Ricordiamoci che molti stranieri e confederati stanno affinando il loro gusto, e spesso si spingono oltre frontiera non per risparmiare, ma perché trovano quel tocco in più.
Ma quindi Speziali qual è la sua ricetta per migliorare il settore della ristorazione ticinese?
Fare “semplicemente” bene il proprio lavoro. Come responsabile dei progetti di sviluppo della Verzasca ho portato una tappa Lugano Città del gusto a Sonogno: il giovane cuoco e gerente ha valorizzato una trota in carpione che in molti se la ricordano ancora. Valorizzare i prodotti locali significa rispettarli, proporli e raccontarli. Chi viene da oltre Gottardo non vuole un branzino con un’emulsione ghiacciata al coriandolo, ma vuole sentire che quella polenta al camino è stata macinata a Frasco, Loco o Bruzella. Che quelle fette di crudo ticinese hanno riposato in una cantina valmaggese, e non sono lucide perché estratte da una busta industriale… Poi ovviamente vanno proposte anche pietanze di terre lontane, ci mancherebbe.
E la politica che ruolo può giocare?
La politica deve sostenere tutti gli eventi che promuovono la cucina e i prodotti. Qualche cavillo legale in meno – le montagne di carta non aiutano di certo la mano dei cuochi – e qualche sostegno in più. Pensiamo all’avvento dello street food: invece di aumentare le regole per chi si butta in questa nuova gastronomia di strada, proviamo a semplificarle per chi ha un ristorante tradizionale. Non misuriamo col centimetro i posti in terrazza, ma diamo un colpo di mano quando si promuove una rassegna. Così sarà anche più facile estendere gli orari di apertura, con una cucina vada oltre i ritmi delle case anziani. I ristoranti e gli alberghi tengono vive le nostre valli e i nostri centri, e meritano la stessa attenzione delle start up più innovative.
E nella recente polemica tra Dany Stauffacher – patron di Sapori Ticino – e il presidente di GastroTicino, Massimo Suter, lei da che parte sta?
A capotavola. Indosserei il grembiule e li inviterei a pranzo da me sui monti di Paudo dove potremmo sotterrare l’ascia di guerra. Luganighetta brasata con birra alle castagne, carré di agnello con un gratin all’alpe Fümegna e poi una crema alla farina bóna, cioccolato nero e nocciole piemontesi. Il vino lo faccio portare da loro, partendo dal Ticino e finendo in Borgogna. I francesi con la loro Grandeur sono insopportabili, ma quando prendono in mano i grappoli … Chapeau!