IL FEDERALISTA
Di Trump, di dazi e di europei. Max Herber a tutto campo
Claudio Mésoniat intervista il corrispondente della RSI negli USA: "La gente condivise le accuse di Vance all'Europa, giudicata in caduta libera sia morale che economica"
POLITICA E POTERE

Vance contro l'Europa. Ecco il discorso integrale

17 FEBBRAIO 2025
POLITICA E POTERE

Vance contro l'Europa. Ecco il discorso integrale

17 FEBBRAIO 2025

di Claudio Mésoniat - articolo pubblicato su ilfederalista.ch

Caro Massimiliano, come stanno vivendo gli americani –magari distinguendo poi tra gente comune e intellettuali che si esprimono nei media- questo attacco sprezzante al resto del mondo e, tra gli altri, ai loro “antenati”, prima ancora che alleati, europei?

La settimana scorsa, il giorno del progetto Liberation Day, ero in Pennsylvania e finita la diretta per il telegiornale ho fatto un paio di interviste, ho chiesto a due persone di estrazione popolare cosa ne pensavano del polverone causato dai dazi. Uno di loro mi ha detto: confuso , cioè “siamo un po' confusi”. L'altro: “è una pazzia”.

Ma erano sostenitori di Trump?
"Erano tendenzialmente conservatori. Poi ho chiesto loro: cambierete il voto? Oggi non lo voterete più, Trump. E loro: “vediamo, vediamo, è ancora presto”. Ho avuto l'impressione che non ritenessero i dazi una mazzata nei confronti di altri Paesi bensì, soprattutto trai conservatori, che la misura non sia necessariamente vendicativa, ma sia soprattutto intesa a riportare negli Stati Uniti quei posti di lavoro che negli anni sono stati delocalizzati".

Quest'idea è dunque passata anche tra la gente comune?
"Diciamo che resistere tra gli elettori conservatori. E quando dico “elettori conservatori” non intendo quelli con il cappello rosso che vivono in provincia, ma elettori un po' meno appassionati di politica. Comunque, l'idea dominante è quella di una gran confusione, di un disorientamento. Quelli che hanno partecipato alle manifestazioni evidentemente non sono trumpiani, non hanno votato Trump alle elezioni. Noi comunque facciamo fatica a cogliere quella “terra di mezzo” che sta tra i due schieramenti estremi. E la terra di mezzo tra i due estremi non va alle manifestazioni, non ha il cappello rosso, è molto più pragmatica. Per cui il vero test lo scopriremo quando i dazi saranno in vigore e si faranno sentire".

Ma degli europei, in particolare (c'era questa sfumatura nella mia domanda), gli americani –la gente comune della “terra di mezzo”- hanno ancora la percezione che si tratti non solo dell'alleato principale, ma in qualche modo di consanguinei, dicevo di antenati?
"Permettimi di dire prima degli altri, i veri “nemici dell'America”. Penso che alla radice del Make America Great Again , vi sia un'idea tendenzialmente basata sulla nostalgia del benessere americano. E la politica di Trump, che è fondamentalmente deresponsabilizzante, si fonda sulla certezza che vi sia sempre un colpevole delle malefatte e delle disgrazie americane: o incolpa Biden ei democratici, o incolpa “gli altri” che sono la causa dello squilibrio commerciale. Di qui il ritornello: “Gli altri ci hanno saccheggiato per 50 anni”. Questa è la prima cosa, l'idea è che se non siamo più grandi la colpa è degli “altri”. Questi “altri” sono i cinesi, sono i Gremlins , queste creature dispettose del famoso film, quelli verso cui abbiamo iniziato a delocalizzare e che ci hanno rubato mano d'opera, competenze e mercato".

Quindi in sostanza la Cina?
"Direi l'Oriente, dalla Cina al Giappone. Una volta l'avversario erano i giapponesi, che producevano l'elettronica a basso costo. Ora è la Cina. Ma non dimentichiamo il famigerato Vietnam, colpito con le tasse più stratosferiche, perché la Nike, com'è noto, fa lavorare mezzo Vietnam (il lavoro in Cina è infatti già... troppo caro). Questa è una delocalizzazione nella delocalizzazione".

E veniamo agli europei.
"L'americano, appena gli parli, ti dice che lui è originario di…: è irlandese, italiano eccetera. Questo c'è ancora tantissimo. Quindi, gli europei vengono un po' colpiti dal “fuoco amico”. Non sono considerati proprio nemici. Però, ormai, in questa battaglia anche loro devono pagarla. Questo è chiaro: devono pagarla".

Gli europei però sono diventati “nemici” non a partire dalla guerra dei dazi, ma penso fondamentalmente dopo l'intervento del vicepresidente JDVance.
Sì, la gente quelle accuse di Vance le condivide. Come dicessero: "Però, questi europei, noi li abbiamo aiutati, li abbiamo salvati dalla Seconda guerra mondiale. C'è questo sentimento che...non saprei dire se nella classifica dell'astio noi europei veniamo al terzo posto..., ma c'è questo giudizio secondo il quale l'Europa sarebbe in caduta libera, sia morale che economica. Come dire... in preda a un relativismo strisciante, a immagine del fatto che demograficamente non cresca, che non sia capace di innovazione, di forza economica. Però stiamo parlando dei figli che cercano di staccarsi dai nonni (o dei genitori).

Nel senso delle loro radici europee, dunque. Ma appunto, questa parentela non gioca come un freno? Insomma, come una forma di rispetto e di affetto per i nonni?
Direi di no, direi che c'è proprio questa idea che loro hanno tradito il loro slancio originario. C'è questa accusa ai propri avi di aver tradito quella voglia di fare, di aver tradito chi ha creato il mondo nuovo.

Quella voglia di fare, dici?
"Sì, di fare imprese, di fare fatica, di lottare per l'autonomia, per l'indipendenza, per il mondo nuovo; e di stare invece pigramente seduti sulle posizioni acquisite. Però questa storia dei dazi qui imbarazza un po', per la violenza nei confronti dell'Europa".

E nei confronti della Svizzera, la più bistrattata d'Europa?
"Allora, al di là delle battute, della confusione che ogni tanto capita tra Svizzera e Svezia, su cui non ci attardiamo -e tenendo conto del fatto che quando diciamo “cosa pensano gli americani”, in realtà non esistono gli americani come entità unica- devo dire che la Svizzera non appare nel radar americano se non come insieme di immagini da cliché . I più benestanti, che si possono permettere le vacanze in Europa, adorano la Svizzera perché è un concentrato di bellezza . Ma non c'è assolutamente consapevolezza che la Svizzera sia il sesto investitore negli Stati Uniti. Non c'è assolutamente consapevolezza che la Svizzera abbia creato negli Stati Uniti 400.000 posti di lavoro, che sia presente in tutti gli Stati Uniti".

Nessuno se n'è accorto?
"Non mi pare. E oltre tutto parlo di posti di lavoro che hanno un salario medio di 130 mila dollari. Niente, non lo sanno. È vero che il New York Times l'altro ieri in un articolo ha manifestato sorpresa per i tassi straordinariamente alti nei confronti della Svizzera. Il paradosso è che si parla di Unione Europea, si parla di Inghilterra, si parla di Cina, si parla del resto del mondo e la Svizzera, che dovrebbe essere amica, è stata presa a pesci in faccia. Hanno detto “Guarda qua, la Svizzera l'hanno bastonata”.

Beh, almeno quelli del NYT se ne sono accorti...
"Si sono accorti dell'anomalia, del trattamento diverso. Non di più. Questa è la difficoltà della Svizzera, comunque: far capire che è il sesto investitore negli USA, più importante della Francia e dell'Italia".

Senti, ma i miliardari sembrano stare accorti dei danni che la politica dei dazi sta causando e in prospettiva potrà causare?
"Allora, ci sono due correnti : c'è da una parte quella ideologica , rappresentata da Miran e dai Navarro (che è il consulente per il commercio di Trump), che credono profondamente nello strumento “dazio” per riequilibrare la bilancia finanziaria e -sottolineo- risolvere il gettito fiscale statunitense per poter fare una grande manovra di sgravi fiscali. La prossima sfida di Trump è infatti quella di presentare una manovra di bilancio che permetta di ridurre le imposte così come aveva fatto nel 2017. Il loro ragionamento è, alla buona, “Tu paghi le tasse doganali, entrano soldi e quei soldi mi permettono da un lato di diminuire il debito e dall'altro di avere più soldi per poter fare, in seguito, una manovra per allentare la pressione fiscale”

Certo, quello era il disegno messo per scritto e che ha orientato la campagna elettorale di Trump.
"Poi c'è una parte dell'Amministrazione, quella che ora sta facendo più notizia, legata a Musk e alla figura -forse più importante- del ministro del tesoro Scott Bessent (colui che ha inventato lo strumento “dazi”), più pragmatica. Soprattutto concentrata sul disegno –come dicevo- di consentire infine un taglio delle imposte. A questo punto però lo stesso Trump ha grossi dubbi visto quello che sta succedendo ai mercati".

È stato quello il campanello d'allarme.
"Sì, sono preoccupati per le conseguenze che queste incertezze potranno avere sull'economia a breve e medio termine. Tra gli altri quel Peter Thiel che è tra i grandi baroni della Silicon Valley. L'obiettivo della Silicon Valley è la deregulation , non questa perdita di controllo della macchina commerciale ed economica. La Silicon Valley non ama questa situazione , l'avrebbe evitata senza ombra di dubbio. Il mondo economico l'avrebbe evitata. Pensano che la cura sia eccessiva e dall'esito incerto. La notizia di ieri era che Apple ha organizzato voli straordinari dall'India per rifornire il mercato americano di iPhone prima dell'applicazione dei dazi ".

Però qualcuno ha detto che tutto sommato per Trump lo scombussolamento delle borse potrebbe non essere una brutta notizia, poiché uno dei suoi chiodi fissi è quello di combattere la finanziarizzazione dell'economia, per tornare a una vera economia di produzione, di industria e non di finanza .
"Infatti, avevo letto una sua dichiarazione degli anni Ottanta che diceva proprio questo: basta con la finanziarizzazione dell'economia. Però mi sembra che un disegno del genere, al di là della benevolenza di una parte dei suoi elettori, non possa giustificare una simile modalità di esecuzione... a meno che serva a posteriori per indorare la pillola".

L'americano medio non ha ancora la percezione che possa generare un calo pesante?
"Non credo, al momento il download non è alto. L'americano medio ha ancora nella memoria l'inflazione pesante di due anni e mezzo fa, che ha contraddistinto la presidenza Biden, e da Trump vuole che i prezzi scendano. È tutto da vedere. Siamo in un limbo, nel senso che l'effetto sulla vita normale ancora non si sente. Sì, c'è l'eco dei mercati che crollano, un'eco che ha un impatto enorme, certo. Però in realtà siamo ancora in un limbo. Certo che se da domani, fuori dalle concessionarie le macchine costeranno 10.000 dollari in più a causa degli effetti dei dazi sul mercato dell'automobile…".

Quali sono i riverberi di questa manovra che Trump teme maggiormente?
"I problemi di Trump su questa manovra sono essenzialmente dovuti. Il primo è il risultato. Venerdì il segretario al commercio ha detto che per ottenere i risultati attesi ci vorrà almeno un anno (per la precisione, ha detto “un anno o due”). Ma Trump ha bisogno di segnali prima, al più presto. La seconda prova per Trump è… Trump stesso. Mi pare che in questi giorni si vanti essenzialmente del fatto che tutti guardiano alla Casa Bianca e vogliano negoziare con lui".

Sì, e sappiamo quale espressione abbia usato in pubblico, dimenticando di essere un capo di Stato.
"Infatti. Ma lui adora i dazi in quanto negli USA sono una misura che non deve passare dal Parlamento , sono uno strumento presidenziale sul quale lui può decidere come e quando vuole. Per Trump rappresentano una sorta di esercizio del potere assoluto . E in questo che tende a crogiolarsi. Ma è possibile che a un certo punto inizi a dire "i dazi ci sono, ok, ma poi magari li negoziamo [ è quanto sta accadendo , ndr. ] e se l'effetto della loro somministrazione non dovrebbe essere quello di riequilibrare la bilancia dei pagamenti... ebbene, potrebbe trattarsi di un vero boomerang. Anche perché il disegno di riportare reale l'industria in patria è per forza di cose un disegno a lungo termine. Mentre Trump e gli americani sono le persone, non dico meno pazienti e più istintivi che esistano, ma poco ci manca Gli americani sono quelli che cambiano un presidente perché la benzina è aumentata di prezzo".

Quindi alle manifestazioni, quali motivazioni si colgono tra i partecipanti?
"Beh, quando domando alla gente “perché sei qui?”, tantissimi mi parlano dei dazi, delle loro pensioni (si chiamano 401k, 401k che sono le casse pensione). E quindi la gente era molto consapevole del fatto che la caduta della borsa, delle azioni, a causa dei dazi, non solo creava incertezza e confusione, ma anche precarietà, perché uno non sa più se i fondi che vengono accantonati un domani ci saranno ancora".

Questa percezione c'era, anche se ovviamente immagino che in piazza non ci fossero i trumpiani.
"No no, in piazza loro non ci sono: il trumpiano “pentito” non parla, se ne sta zitto a guardare. Poi però, se lo vai a provocare… In Pennsylvania ad esempio, conoscevavo degli ispanici, che sono tra coloro che a novembre avevano cambiato colore e avevano votato Trump. Quindi sono andato a cercarli e mi hanno detto che erano tutti delusi. C'era molta ingegnosità nelle loro risposte, ma capivano che non ero lì per giudicare".

In conclusione?
"Sono passati 79 giorni di questa Amministrazione. Non siamo neppure ai primi 100 giorni. Dopo i primi 100 giorni di Biden era ancora luna di miele, la gente faceva i paragoni col Presidente Rooswelt, invece qui… Ok, Trump dice che questa è la medicina (una medicina da cavallo) e ci vuole pazienza. Ok, l'uscita dalla globalizzazione, l'uscita da una finanziarizzazione, l'anti-woke… E certo, questo uomo è stato votato. E interpreta a modo suo un mandato di rottura. Disruptor, è un termine che qui si usa molto: mandiamo all'aria tutto e ricostruiamo tutto. Ma ciò che più mi preoccupa di Trump è che quel mondo è destinato a durare".

Cosa più ti preoccupa del trumpismo in atto?
"Il lato oggettivamente più preoccupante di questa Presidenza riguarda il rispetto dell'uomo, dell'essere umano . Tutto quello che sta avvenendo nell'ambito dell'immigrazione è impressionante. Cioè i controlli, l'abuso, lo sprezzo per i giudici e per i metodi legali. Adesso questo aspetto è passato in secondo piano , però quando tu guardi le immagini dei venezuelani mandati in Salvador, incatenati… L'uso di queste cosiddette deportazioni, di queste espulsioni, sarebbe una messa in guardia per far paura ai delinquenti? Poi esce che il 75% di quelle persone, non aveva precedenti penali".

Di seguito, le considerazioni che abbiamo raccolto dal nostro interlocutore pochi minuti dopo aver appreso la notizia del rinvio di 90 giorni all'applicazione dei famigerati dazi da parte del (volubile, scaltro, o spaventato?) presidente Trump. Fulmine a cielo sereno?
"Non proprio, come dicevamo poche ore fa, all'interno del cerchio ristretto della presidenza vi sono due scuole: gli ideologi puri, che credevano religiosamente nello strumento dei dazi, e gli altri che invece pensano si tratti di uno strumento per negoziare; e questa è sempre stata la “tentazione” di Trump, che lo ha anche ammesso in questi giorni con espressioni di squisita volgarità. Quindi uno strumento che a lui piace perché lo può usare come leva per costringere gli “avversari” a scendere a miti consigli e ad aprire trattative".

Ma c'è verosimilmente anche un aspetto di ripensamento alla luce dei disastri borsistici?
"Penso proprio di sì. La strategia annunciata il “giorno della liberazione”, mercoledì scorso, è stata, più che una medicina, un salasso, soprattutto per gli investitori americani. E quando si parla di investitori americani si parla di persone che, ad esempio, hanno la loro pensione investita in borsa. L'andamento dei mercati faceva seguito a un clima di insicurezza generalizzato, anche negli Stati Uniti, non solo nel resto del mondo, anzi, soprattutto negli Stati Uniti. C'è dunque da pensare che lo stesso Trump abbia deciso di… cedere a questa sua tentazione e di seguire il suo istinto per costringere gli altri, dopo aver usato il randello, a negoziare accordi più favorevoli agli Stati Uniti".

Dunque la Cina rimane il nemico numero uno?
"Certo, il bersaglio preferito. Meglio, l'unico bersaglio, l'unico nemico in questa guerra commerciale, e questo per due buoni motivi. Primo, perché anche agli occhi dell'opinione pubblica americana la Cina rappresenta l'avversario, il nemico commerciale, colui che “ci ha sottratto mano man il lavoro, la competenza e la tecnologia”. E in secondo luogo perché la Cina la puoi accusare di escalation : è quello che ha fatto il segretario del tesoro poche settimane fa. “Hanno fatto i contro-dazi ai nostri dazi; e poi i contro-contro-dazi ai nostri contro-dazi”. Quindi è un avversario facilmente accusabile, un nemico facilmente vendibile all'opinione pubblica. Ma nel frattempo tieni aperta una finestra di tre mesi per far sì che il resto del mondo venga da te, con i suoi sacrifici".

Quindi i tre mesi vanno intesi come il periodo della trattativa?
"Penso proprio di sì. Trump è anche soddisfatto del fatto che gli avversari hanno chiesto di negoziare e non hanno subito lanciato dei contro-dazi. Penso all'Unione Europea, penso all'Inghilterra, penso alla Svizzera. Questo, fondamentalmente, l'ha confermato in una posizione di forza che gli fa dire “ben vengano i negoziati”. Non dimentichiamo però che questa marcia indietro avviene dopo tre giorni e mezzo di crollo dei mercati in cui sono stati bruciati miliardi di dollari che sono pur virtuali ma sono perdite che fanno male".
 

 

 

 

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