Intervista al direttore sanitario del Cardiocentro e primario di cure intense e anestesia: "Ecco cosa succede a un paziente intubato. Le restrizioni? L'orizzonte sono almeno 60 giorni dal 19 marzo. A fine aprile le prime valutazioni"
di Andrea Leoni
LUGANO - Tiziano Cassina, classe 1961, luganese, dal gennaio 2019 è direttore sanitario del Cardiocentro. All'ospedale del cuore è primario di cardioanestesia e di cure intense. È stato presidente della società svizzera di anestesia e rianimazione. È professore all'Università di Ginevra.
Professor Cassina, è passata una settimana da quando il Cardiocentro ha aperto un piano della clinica dedicata ai pazienti affetti da Coronavirus, in particolare quelli che soffrono di patologie cardiache. Può darci un primo input sull’esperienza?
“Il bilancio è positivo, perché siamo in grado di assicurare delle cure di qualità a tutti i pazienti cardiopatici, che siano essi positivi o no al Covid19. Garantiamo questo servizio alla popolazione ticinese rispettando tutte le norme di sicurezza, a tutela sia dei pazienti che del personale. Questo è possibile grazie al fatto che abbiamo creato due percorsi ben distinti all’interno dell’istituto: uno per accogliere i malati e il personale curante che si occupa dei pazienti Covid, o sospettati di esserlo, e un’altro per tutti gli altri degenti”.
Ora che può osservarla da vicino, che idea si è fatto di questa nuova malattia?
“Una buona percentuale delle persone positive al Covid19, supera la malattia senza grosse conseguenze rimanendo a casa. Ma i pazienti che contraggono questa infezione in maniera severa, hanno delle gravi conseguenze. Per alcuni, purtroppo, addirittura letali”
Molti suoi colleghi affermano, nonostante molti anni di servizio, di non aver mai visto delle polmoniti così aggressive, rapide e distruttive. Concorda?
“Concordo, è proprio così. Questo tipo di patologia è estremamente diversa dalle polmoniti che siamo abituati a curare normalmente"
Cosa distingue una polmonite “comune” da quella provocata dal Covid19?
“La polmonite batterica, quella che osserviamo sovente, produce un accumulo di liquidi all’interno dell’alveo, che è la camera che serve a far respirare il polmone. Mentre questa malattia provoca una polmonite interstiziale. In parole semplici significa che le cellule polmonari vengono aggredite dal virus e non funzionano più normalmente. Questo innesca una reazione del sistema immunitario estremamente aumentata, che crea a sua volta un’infiammazione esagerata. È una sorta di circolo vizioso”.
Un’altra caratteristica osservata dai medici è la lunghezza della malattia.
“Assolutamente sì. I malati ci mettono molto tempo a recuperare una funzione polmonare adeguata. Per questo è necessaria, per i casi più severi, un’ospedalizzazione prolungata, o in reparto o con l’intubazione in cure intense”.
“Intubare” è una parola che abbiamo purtroppo imparato a conoscere in queste settimane. Ci spiega di cosa si tratta?
“Si tratta di un supporto ventilatorio artificiale per permettere di portare più ossigeno al paziente e aiutare i polmoni a spandersi. È una sorta di ponte per aiutare il malato a superare la fase più acuta. Ma, è molto importante spiegarlo, non si tratta di una cura dell’infezione. Stiamo parlando di un trattamento invasivo, che può salvare la vita, ma che presenta anche alcuni svantaggi”.
Ad esempio?
“Innanzitutto è necessaria una sedazione profonda del paziente, perché altrimenti non potrebbe sopportare l’intubazione. La conseguenza della sedazione è che il malato ha bisogno di una sorveglianza molto stretta e ciò comporta un impiego significativo di personale. Inoltre la presenza di questo tubo provoca irritazione. Infine, trattandosi di una via aperta diretta tra i polmoni e l’ambiente, il rischio di portare altre infezioni aumenta”.
Si tratta quindi di un intervento medico molto rilevante.
“È senz’altro un atto medico molto stressante, sia per i polmoni che per tutto l’organismo. Visto la durata del trattamento, il paziente ha bisogno di una certa capacità di riserva funzionale per sopportarlo. È per questo che alcuni malati fragili - per età, malattie pregresse o per difese immunitarie meno resistenti - non riescono a superare questa fase”
Le persone più fragili, possono morire, ma anche per chi sopravvive, si tratta comunque di un’esperienza molto difficile, indipendentemente dall’età o dallo stato di salute.
“Questo senza alcun dubbio. Tra l’altro allo stato attuale non sappiamo ancora quali sono le conseguenza a lungo termine di questa polmonite. Se è possibile procedere a un recupero completo oppure se permangono dei danni e di quale gravità”.
Professor Cassina, la stragrande maggioranza della popolazione ticinese sta sostenendo attivamente il sistema sanitario, rispettando le importanti limitazioni della libertà personale ed economica che sono state introdotte. Tutti gli esperti ci dicono che sarà una lunga maratona. Lei che idea si è fatto delle tempistiche?
“Se il sistema sanitario ticinese sta reggendo l’onda d’urto di questa nuova malattia, è proprio grazie alle misure di prevenzione e isolamento che sono state introdotte e che vengono rispettate dalla maggioranza dei cittadini. La Cina ci insegna che occorre ragionare su un orizzonte di almeno 60 giorni dal momento in cui i provvedimenti vengono introdotti. Noi abbiamo cominciato il 19 marzo, con il ponte di San Giuseppe. Immagino che alla fine di questo mese sarà possibile cominciare a riflettere su un prolungamento o qualche allentamento delle misure. Una sorta di primo step. Ma si tratterà di procedere in maniera progressiva ed estremamente prudente. Dobbiamo pensare e ammettere che siamo davanti a una grande incertezza. E il concetto d’incertezza è nuovo per tutti, anche per noi medici che dobbiamo cominciare a metterlo nel nostro vocabolario”.
Lei è da sempre tra quei medici che sostiene che la mascherina sia un ottimo strumento di questi tempi.
“Esatto, sono molto convinto di questo aspetto, tanto è vero che al Cardiocentro abbiamo introdotto questa protezione con largo anticipo. Se è indossata da tutti i cittadini, la mascherina ci protegge. Io non contamino te, tu non contamini me. È un atto civico e credo che quando si potrà riaprire sarà necessario provvedere affinché tutta la popolazione possa avere a disposizione questo strumento”
Lei sostiene che questa malattia è un grande bagno di umiltà per tutta la classe medica. Perché?
“Perché siamo stati confrontati con una malattia altamente contagiosa, della quale non conosciamo bene tutti gli aspetti, e che ci obbliga ad abbandonare gli schemi e le certezze ai quali eravamo abituati”.
In conclusione una domanda sul futuro: quando crede che tutto questo finirà?
“Mi piacerebbe darle una risposta, mi creda. Ma la verità è che sappiamo ancora troppo poco di questo Covid19 per poterci sbilanciare. Gli scenari futuri sono completamente aperti, sia in senso positivo che non. Quello che però è fondamentale tener presente è che settimana dopo settimana la comunità scientifica internazionale, ci porta delle nuove conoscenze e delle nuove proposte per affrontare questa pandemia. Perciò quello che oggi ci sembra improbabile, o di difficile attuazione, tra qualche giorno potrebbe non esserlo più. Non bisogna essere né allarmisti, né sottovalutare la situazione. Come dicevo prima dobbiamo abituarci a convivere con l’idea dell’incertezza. Dobbiamo avere pazienza”.