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04.04.2024 - 09:130
Aggiornamento: 16.04.2024 - 09:29

Sul caso Gobbi

Riflessioni di un garantista sulla vicenda dell'incidente del Direttore del DI che ha innescato un'inchiesta penale e ha portato all'auto sospensione del ministro dalla conduzione politica della polizia

di Andrea Leoni

Padre Ennio Pintancuda, gesuita e sociologo palermitano, sosteneva che il sospetto è l’anticamera della verità. E forse non è un caso se Giulio Andreotti, che aveva fatto il ginnasio tra le mura del più antico istituito scolastico fondato da Sant’Ignazio, viene spesso ricordato per un aforisma “scippato” a un cardinale della curia romana: a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Noi siamo di un’altra parrocchia, più liberale, e abbiamo sempre preferito la versione di Giovanni Falcone: la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, ma del khomeinismo.

Con questa stella polare ci siamo sempre orientati nell’analizzare i casi politici, più o meno scottanti, che sono sfociati in inchieste penali e amministrative o che hanno sollevato questioni di opportunità - aspetto altrettanto importante del rispetto della legge - circa il comportamento degli eletti. Così intendiamo commentare anche il caso di Norman Gobbi.

Questo significa esercitare lo spirito critico e il dubbio rispetto ad ogni elemento messo sul tavolo. Esigere che venga fatta massima chiarezza, e a livello penale e a livello amministrativo e politico, ma senza anteporre i pettegolezzi, le tesi e le conclusioni, ai fatti. 

Tutti ci chiediamo se il Direttore del DI abbia davvero abusato della propria posizione per ottenere un vantaggio nell’incidente che lo ha visto coinvolto. Se così fosse dovrebbe sloggiare dal Governo e con lui, dalla polizia, coloro che, con ruoli di responsabilità, lo avrebbero indebitamente favorito. Molti meno però si fanno l’altra domanda, doverosa per onestà intellettuale: e se fosse innocente?

In questo momento le indiscrezioni sono mille e i fatti accertati pochi. Si sa che in una tarda serata di metà novembre è avvenuto un incidente sull’autostrada in Leventina, con doppio controllo dell’alcolemia per il ministro, e che Norman Gobbi ha deciso di non farne parola fintanto che La Regione e Fiorenzo Dadò, meritoriamente, non hanno reso pubblica la vicenda, sollevando una serie di domande pertinenti. Altro fatto certo è l’apertura di un’inchiesta penale da parte della magistratura, che ha messo sotto indagine un quadro della gendarmeria per favoreggiamento e abuso di autorità. Il PG Andrea Pagani sta indagando per le stesse ipotesi di reato anche contro ignoti. Norman Gobbi, per bocca sua e del suo avvocato, ha sempre proclamato con forza di aver agito con correttezza cristallina. 

Poi ci sono le indiscrezioni raccolte dai media che, chi con più perizia e capacità e chi meno, hanno fatto il proprio mestiere: porre domande e cercare risposte, senza pendere dalle labbra del Palazzo. Non c'è stato alcun accanimento verso il Consigliere di Stato, né al momento si può parlare di gogna mediatica senza arrossire.

Veniamo alle principali zone d'ombra sulla vicenda raccolte dalla stampa, escludendo le dicerie. Si parla di un rapporto di polizia incompleto sull’incidente, dove Gobbi non sarebbe stato neppure menzionato. Si vocifera che sarebbero trascorse più di due ore tra i due test alcolemici a cui il direttore del DI si è sottoposto, il che sarebbe una crassa violazione della procedura. Si mormora di fibrillanti telefonate ai vertici della polizia, nelle ore del crash, e dell’auto del ministro che sarebbe finita chissà dove.

Nessuna di queste indiscrezioni è stata al momento accertata. Due di queste voci sono però state perentoriamente smentite dall’avvocato Renzo Galfetti, legale di Gobbi, il quale, “carte alla mano”, ha affermato che i test dell’alcolemia sono stati svolti correttamente e che l’auto di Gobbi è sempre rimasta in Ticino, prima ad Airolo la sera dell’incidente e poi a Bodio dal giorno dopo, dove è stata riparata. Questi chiarimenti vanno letti come i credenti fanno con il Vangelo? No, ma che sia messo agli atti, accanto alle indiscrezioni, che un avvocato del prestigio di Renzo Galfetti - pur rappresentando una parte dichiarata in commedia: la difesa - si è esposto pubblicamente in maniera netta su elementi precisi sui quali sarà semplice ricostruire la verità dei fatti. E presto li verificheremo, come è doveroso fare.   

Sulla base di tutto quanto abbiamo scritto finora, si è arrivati all’autosospensione di Norman Gobbi dalla conduzione politica della polizia. È una mossa che, politicamente, gli conviene e fa sfiatare la pressione politico-mediatica attorno a lui e al Corpo. Ma se, con razionalità, analizziamo gli elementi finora sul tavolo, è lecito chiedersi se vi fossero motivi sufficienti per arrivare a questo provvedimento, comunque grave e quasi sicuramente propiziato della maggioranza del Governo. Primo: al momento Gobbi non è neppure indagato. Secondo: chi teme che potesse brigare, dimentica che l’incidente è avvenuto a novembre e dunque, semmai, c’era già stato tutto il tempo per farlo. Terzo: l’intervento della magistratura, partito oltre una decina di giorni fa, cristallizza la situazione e di fatto impedisce inquinamenti di prove o comportamenti sconvenienti tra tutte le persone coinvolte (a meno che non si creda sul serio d’aver a che fare con un gruppo di lestofanti, o di cretinetti, e non con i vertici d’importanti istituzioni, ma allora vale la qualunque). Quarto: non ci sono al momento fondati elementi per un’azione punitiva - de facto quella assunta lo è - nei confronti del ministro. Molti giustificano questo provvedimento come un “segnale” al Paese. A noi la politica dei segnali non piace. O ci sono fatti tali da giustificare il dimezzamento, benché temporaneo, di un Consigliere di Stato - allora si proceda senza sconti - oppure non ci sono e allora non si fa. Forse si tratta di un riflesso esagerato, ma riteniamo sano in una società dove la caccia alle streghe sta diventando (sub)cultura di massa in ogni ambito, che scatti un meccanismo di guardia ogni qual volta si priva una persona, qualsiasi persona, dei suoi compiti professionali, in qualunque professione, sulla base di semplici sospetti.

Giusto per non suscitare fraintendimenti, questo ragionamento dubitativo - mi rendo conto minoritario - non si accorda con gli strilli, un po’ tartufati e un po’ capricciosi, che giungono dal fortino in cui la Lega si è arroccata a difesa del proprio leader. Il Movimento ha scelto una tattica di difesa alla Mourinho, quella “del rumore dei nemici”, del “noi contro il resto del Mondo brutto e cattivo”. È un trucco che funziona solo se poi riesci a vincere e comunque alla lunga ti logora e rischia di lasciare macerie.

Altro appunto, già che siamo in argomento. Non ci piace il fatto che Norman Gobbi abbia gonfiato a dismisura la polizia e l’abbia diretta con piglio da Augusto, dando talvolta la percezione che fosse a capo più di una guardia di pretoriani che di una forza di pubblica sicurezza (ennesimo frutto avvelenato del dipartimentalismo: quando finalmente il Parlamento avrà il coraggio di legiferare in materia?). Non ci piace che la sua politica di sicurezza investa tanto in poliziotti e troppo poco in magistratura. E se dobbiamo dirla tutta, negli ultimi 4 o 5 anni abbiamo avuto l’impressione che l’ego del ministro abbia superato più d’una volta il livello di guardia.

Non si può infine non annotare, intonandoci a quanto sopra, come questa vicenda pare avere origini, almeno in parte, da un malese all’interno della polizia che merita attenzione. L’istinto ci suggerisce che proprio per quella via potrebbe svilupparsi la vicenda, trovando un ulteriore sbocco politico. Non scordiamoci inoltre della poco edificante - eufemismo - disputa giuridica in corso tra il Procuratore Generale e il comandante della polizia sulla carte dell’ex Macello. E proprio l’inchiesta bis sul Macello, ordinata dalla Camera dei ricorsi penali al PG dopo il decreto d’abbandono, imporrà ad Andrea Pagani particolare zelo nel verificare i fatti. Sarebbe infatti imperdonabile per il capo della Procura correre il rischio di farsi rimproverare lacune d’inchiesta in un nuovo caso scottante che tocca la polizia e il potere politico. Altre tessere del mosaico che fanno contesto.

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