Il direttore della Clinica Luganese: "Occorre costruire consenso, evitando di contrapporre una struttura all’altra o il modello pubblico a quello privato"
LUGANO - Christian Camponovo è direttore amministrativo della Clinica Luganese Moncucco e da anni segue la politica sanitaria cantonale da un osservatorio privilegiato. Lo abbiamo intervistato su un tema delicato e controverso, quello della pianificazione ospedaliera.
Camponovo, la pianificazione sembra essere un cantiere sempre aperto. Se ne parla da anni, ma tra proroghe, ricorsi e referendum manca sempre il punto finale.
“Secondo me è giusto che sia così, perché la pianificazione dovrebbe essere un processo di costante evoluzione. Il problema è che in Ticino la si è interpretata come un cantiere per costruire qualcosa di mastodontico e non come un processo per accompagnare cambiamenti progressivi”.
A complicare la matassa hanno contribuito anche i ritardi della politica...
"Esatto, la prima pianificazione ospedaliera dopo la revisione della Legge sull’assicurazione malattia, la Lamal, avrebbe dovuto concludersi al più tardi nel 2013-14. Ma il progetto è arrivato solo alla fine del 2015, quindi già in netto ritardo sulla tabella di marcia e sui tempi stabiliti dalla Confederazione. Non solo: con decisioni che non rispettavano quanto stabilito dalla legislazione vigente, quindi dalla Lamal stessa. Come i ricorsi, tra cui quello della Clinica Luganese Moncucco, hanno dimostrato”.
Ma di chi è la responsabilità del pasticcio?
“Faccio una premessa: in Ticino, a differenza della quasi totalità degli altri Cantoni, le decisioni sulla pianificazione ospedaliera sottostanno in ultima analisi al Gran Consiglio. Il che complica e rallenta le procedure. E io credo che se il Parlamento ticinese intende mantenere queste competenze dovrebbe anzitutto concentrarsi nel definire le “regole del gioco”, quelle che stabiliscono come vengono assegnati i mandati. L’attribuzione vera e propria è un aspetto molto tecnico e andrebbe riservato ad un organo molto più operativo. Ovviamente con la verifica da parte della politica che le regole vengano rispettate”.
Perché avete ricorso come Clinica?
“Abbiamo ricorso al Tribunale federale amministrativo perché c’erano alcune specialità che svolgevamo, ritengo, con buona qualità e con buoni risultati, che ci venivano cancellate di punto in bianco dalla nuova pianificazione, senza che ci fosse a nostro parere un valido motivo per farlo. Questo significava trasferire tali attività di cura a istituti, sia pubblici sia privati, che avrebbero continuato a eseguirle con costi maggiori per il cittadino in quanto contribuente e in quanto assicurato. Del resto non siamo gli unici ad aver presentato ricorso: lo ha fatto anche la Clinica Santa Chiara di Locarno e l’Ospedale Malcantonese”.
L’esito dei ricorsi vi è stato favorevole, ma a questo punto che cosa succede?
“Diciamo che oggi la situazione è piuttosto caotica: ci sono istituti per cui la pianificazione del 2015 è entrata in vigore, anche se non sembra essere interamente applicata, e ce ne sono altri, come il nostro, per i quali rimane in vigore la pianificazione precedente, che risale al 2005! Ci sono infine altri istituti che hanno ricevuto mandati provvisori in vista di possibili collaborazioni tra pubblico e privato, come per esempio la Clinica Santa Chiara e l’Ospedale Regionale di Locarno, per i quali è oggi impossibile sapere quali sono i mandati realmente assegnati”.
Una situazione caotica, insomma. Cosa vi attendete ora dalla politica e in particolare dal Dipartimento sanità?
“Per prima cosa che faccia chiarezza in tempi brevi, perché stando così le cose è difficile per gli istituti di cura pianificare e progettare il futuro. La pressione e la competizione di istituti di oltre Gottardo è sempre maggiore e noi, come Ticino, rischiamo di perdere il treno. Le cliniche private e gli ospedali pubblici confederati si stanno muovendo per acquisire nuovi pazienti, non solo i cinque ospedali universitari, ma anche ospedali cantonali importanti, come Lucerna e San Gallo, per esempio”.
E come si fa a non perdere il treno?
“Secondo me occorre soprattutto recuperare da parte della politica la capacità di costruire consenso, evitando di contrapporre una struttura all’altra o il modello pubblico a quello privato. E bisogna cambiare il concetto di pianificazione ospedaliera, considerandola un processo continuo e non una sorta di piano decennale. Bisognerebbe anche trovare la forza di considerare il settore sanitario, e in particolare quello ospedaliero, un motore di crescita economica, oltretutto in un ambito in cui i salari medi superano quelli cantonali”.
E gli istituti di cura, pubblici e privati, cosa dovrebbero fare?
“Da una parte trattenere e (ri)portare in Ticino dei ‘medici leader’ in grado di garantire una sanità di qualità e anche di rafforzare il legame tra gli istituti e i pazienti. Perché alla fine è il medico che costruisce e garantisce il rapporto di fiducia che i pazienti devono avere. Dall’altra prendere esempio a livello internazionale da altri settori in cui vengono offerti dei servizi, orientandosi ad organizzazioni più orizzontali e meno verticistiche. In generale nella sanità ci vuole un sistema meno gerarchico, che valorizzi maggiormente i singoli collaboratori. L’eccessiva gerarchia porta spesso ad avere persone che mirano a una promozione - e se non le promuovi le scontenti -, o ad attribuire ruoli di gestione e di coordinamento a medici che magari sono bravissimi dal profilo clinico ma che non hanno le competenze o l’interesse per esercitarli”.