Il medico, che fa parte del Gruppo operativo Coronavirus parla chiaramente al TG della RSI. La situazione è seria, hanno detto ieri i ministri Vitta e De Rosa. Forse bisogna fare un passo in più, e dire che la situazione non è solo seria: è grave
Non sono un medico, ma parlo con i medici, specialisti e medici di famiglia. Ogni giorno. E ascolto le loro preoccupazioni. Mi dicono: ma quando riusciremo a far passare il vero e unico messaggio che oggi conta?
E sapete qual è questo messaggio? State a casa! Riducete al minimo indispensabile spostamenti e contatti!
La situazione è seria, hanno detto ieri i ministri Vitta e De Rosa. Forse bisogna fare un passo in più, e dire che la situazione non è solo seria: è grave. Senza fare allarmismo, ma dicendo le cose come stanno.
Non basta più lavarsi le mani, mettere le mascherine, spruzzarsi di amuchina, stare a un metro di distanza l’uno dall’altro, starnutire nel gomito o non tossirsi addosso! Non basta più!
Come tutti voi leggo i provvedimenti che adottano le autorità di altri Paesi, in particolare quelle italiane. Le zone rosse, i controlli di polizia lungo le strade, alle stazioni… Scuole e locali pubblici chiusi, campionato di calcio sospeso, manifestazioni vietate. E ascolto e leggo le parole dei medici lombardi che sono al fronte. Le loro testimonianze drammatiche.
Leggo dei provvedimenti che già da una decina di giorni, quando ancora da noi si festeggiava il Rabadan, sono in vigore a pochi chilometri dal confine, a Cannobio, a Como, a Ponte Tresa...
Leggo le statistiche sui contagiati e sui morti in Lombardia. E in Ticino, dove l’aumento delle persone infettate dal Coronavirus sale al ritmo di una quindicina al giorno. Leggo che l’Organizzazione mondiale della sanità profila il rischio di una pandemia globale, che tutta l’Europa è ormai contagiata. E che il Governo italiano ha decretato che da domani tutta l’Italia sarà “zona rossa”.
Poi mi sveglio da questo incubo e guardo cosa succede da noi, in questo Ticino che in troppi continuano a considerare un’isola felice. Si continua ad andare a scuola, con bambini e ragazzi che siedono fianco a fianco sui banchi, alla faccia delle più banali raccomandazioni di “distanza sociale”. E seguo distrattamente la diretta della seduta del Gran Consiglio a porte chiuse, dove si parla per un’ora dell’emergenza virus, con i deputati seduti uno accanto all’altro, sempre in barba alle prescrizioni sulla distanza sociale.
Vedo anche sui social foto di eventi in locali pubblici che continuano come se nulla fosse accaduto. E sento gente che continua a dire che il Coronavirus è poco più che una semplice influenza.
Leggo che gli industriali consigliano alle aziende di trasferire provvisoriamente in Ticino i loro dipendenti frontalieri, e so di aziende che hanno prenotato decine di camere d’albergo per scongiurare l’eventuale chiusura della frontiera.
Poi sento le dichiarazioni rese questa sera al Telegiornale della RSI dall’infettivologo Christian Garzoni, che fa parte del Gruppo operativo istituito dal Governo per far fronte all’emergenza Coronavirus. Il quale dice che per contenere l’epidemia bisogna tenere il più possibile separate le persone, e che tra le varie misure ipotizzabili c’è anche quella di chiudere la frontiera.
“Una persona che arriva oggi dal Nord Italia ha più probabilità di portare il virus rispetto a un ticinese – spiega Garzoni, che è direttore medico alla Clinica Moncucco -. Per questo l’epidemiologo tenderebbe a dire che bisogna farlo. Poi il politico fa altre scelte che soppesano anche gli interessi economici e quelli di rapporti tra gli stati. Ma l’epidemiologo direbbe di sì, che bisognerebbe chiudere le frontiere”.
E allora mi chiedo: ma chi deve decidere, in base a quali criteri sta decidendo?