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Bruno Giussani: "La Svizzera, la sentenza della Cedu e i nubifragi che hanno devastato le valli"
Il giornalista: "Il nostro Paese, purtroppo, non è affatto esemplare nel suo approccio climatico"
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Vallemaggia, De Rosa: "Disastro figlio di un clima impazzito che noi abbiamo stuzzicato nella sua tana"

30 GIUGNO 2024
CRONACA

Vallemaggia, De Rosa: "Disastro figlio di un clima impazzito che noi abbiamo stuzzicato nella sua tana"

30 GIUGNO 2024

di Bruno Giussani*

Tre mesi fa una porzione significativa della politica elvetica s’era indignata – e invitava gli svizzeri a indignarsi – contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo secondo la quale la Svizzera non agisce in modo sufficiente per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. “La Svizzera fa abbastanza”, “è esemplare”, “virtuos a”, abbiamo sentito. “E Cina e India allora?”, ovviamente. Il parlamento ha invitato il Consiglio federale a ignorare la sentenza. È stato suggerito che la Svizzera si ritiri dalla Cedu.

Poi il cielo si è aperto e in due settimane le valli del Ticino, dei Grigioni e del Vallese sono state devastate da forti piogge, inondazioni, fango e frane. Una decina di morti, case e infrastrutture distrutte, autostrade interrotte, zone industriali ferme, villaggi isolati, talvolta senza acqua potabile né elettricità. L’autostrada, poiché è “nazionale”, è stata ricostruita in tempi record (il che solleva lateralmente la questione del perché altri cantieri autostradali durino dei lustri).

Poi, negli stessi ambienti scandalizzati dalla Cedu ha iniziato a circolare un’idea curiosa: a causa dei rischi e dei danni legati al cambiamento climatico, dovremmo considerare l’idea di abbandonare alcune regioni montane, perché diventerebbe “troppo costoso mantenere in vita questi luoghi”, dice Avenir Suisse, il think tank neoliberista. La Nzz ha scritto testualmente che “la Svizzera non potrà fare a meno di rinunciare ad alcune valli”. Il quotidiano zurighese ha avuto la correttezza, nel titolo dello stesso articolo, di non nascondersi dietro eufemismi come “delocalizzati”. Ha esplicitamente definito le popolazioni potenzialmente sfollate “rifugiati climatici svizzeri”. Il Paese dall’azione ambientale “esemplare” sarebbe insomma pronto a considerare la possibilità di avere rifugiati climatici interni.

La Svizzera, purtroppo, non è affatto esemplare nel suo approccio climatico, sostenendo che costerebbe troppo. Le sue emissioni di gas inquinanti rimangono molto elevate. Le sue misure di decarbonizzazione sono insufficienti (e si basano in parte su ipocrite “compensazioni” all’estero). Allo stesso tempo, le Alpi si stanno riscaldando, i ghiacciai si stanno sciogliendo, il permafrost si sta “defrostando” e la risposta sarebbe l’abbandono di regioni perché garantire alle loro popolazioni un livello di protezione sufficiente sarebbe economicamente oneroso. L’inazione climatica e la tentazione di abbandonare intere valli sono facce della stessa medaglia, riduzionista e cinica, incapace di visione, di progetto e di assunzione di responsabilità oltre i calcoli puramente contabili.

Le valli delle Alpi non sono solo paesaggi, spazi museificati per gli abitanti delle città in cerca di relax e sport “nella natura”. Né sono “usa e gett a” come vorrebbe la spregiudicata logica economica dell’estrarre-consumare-gettare. Fanno parte della storia, della cultura, dell’economia, della politica (federalismo) del Paese. Vi si trovano infrastrutture essenziali, trasporti, energia. Vi è ancorato l’immaginario identitario elvetico (il “patto confederale”, il “ridotto nazionale”, persino Heidi). E lì vivono comunità degne e orgogliose che vogliono continuare a viverc i.

L’abbandono di alcune regioni non sarebbe d’altronde senza conseguenze a valle, come abbiamo visto chiaramente nelle ultime settimane con le autostrade allagate e interrotte, il Verbano pieno di detriti, il Lemano che ha dovuto assorbire le fogne vallesane quando i sistemi di depurazione sono stati danneggiati. Gli eventi meteorologici estremi accentuati dai cambiamenti climatici non colpiscono solo le Alpi: la siccità brucia i campi, le ondate di caldo le città (e poi cerchiamo temperature più sopportabili nelle… valli alpine).

Il messaggio che gli eventi delle ultime settimane ci inviano è che è tempo di pensare a una diversa politica alpina. Una politica di ripopolamento, di decentralizzazione. A investimenti in infrastrutture di vita e non solo di transito o di turismo. Alla riduzione degli intralci burocratici per queste regioni. Non solo non stiamo facendo abbastanza contro i cambiamenti climatici: stiamo facendo altrettanto poco anche contro lo spopolamento delle valli alpine.

*giornalista - articolo pubblicato sulla Regione e su "Le Temps"

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